Scrittori da (ri)scoprire – Paolo Volponi
Paolo Volponi (Urbino, 1924 – Ancona, 1994) è uno dei pochi rappresentanti di quella che viene considerata la “letteratura industriale”, cioè di tutta quella produzione narrativa che abbia come filo conduttore la nascita e lo sviluppo delle grandi fabbriche, di cui raccontare sia le prospettive positive, sia le numerose problematiche: abbandono delle campagne, crescita disordinata dei centri urbani, lotte di classe, alienazione causata dal lavoro ripetitivo.
Volponi nasce in una famiglia marchigiana della piccola borghesia e dopo una breve esperienza da partigiano e la laurea in giurisprudenza incontra nel 1950 Adriano Olivetti, l’imprenditore noto per una personale visione sociale e solidaristica del mondo della fabbrica (che l’avrebbe portato a fare di Ivrea una città-modello), che qualche anno dopo lo assume nella sua azienda.
Negli stessi anni Volponi scrive delle poesie, ma presto passa a dedicarsi alla narrativa, mentre fa una veloce carriera all’interno della Olivetti, dove resterà fino al 1975 arrivando a dirigere tutte le relazioni aziendali (negli stessi anni ci lavora anche Ottiero Ottieri, altro scrittore che racconta il mondo industriale).
Nel 1962 esce il primo romanzo di Volponi, Memoriale, incentrato sulla contrapposizione tra operai e imprenditori, a cui fa seguito nel 1965 La macchina mondiale, storia di un contadino fuori dagli schemi ricca di spunti filosofici e di invenzioni linguistiche, che vince il Premio Strega.
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Nel 1975 Volponi viene scelto come presidente della Fondazione Agnelli, ma deve rinunciare per l’opposizione della famiglia Agnelli che non approva la sua iscrizione al PCI, col quale lo scrittore inizia una carriera politica e viene eletto senatore dal 1986 al 1991.
La carriera letteraria prosegue invece in modo discontinuo, perché Volponi è affascinato dalle sperimentazioni e tenta varie strade, scrivendo anche poesie e saggi, ma i romanzi Corporale (1974) e Le mosche del capitale (1989) affrontano sempre temi legati al mondo del lavoro, esprimendo pesanti critiche al capitalismo. Con La strada di Roma (1991), un romanzo parzialmente autobiografico che racconta il trasferimento nella capitale di un giovane urbinate e la cui prima stesura risaliva a molti anni prima, Volponi vince per la seconda volta il Premio Strega, impresa ripetuta solo di recente da Sandro Veronesi (vincitore nel 2006 conCaos calmo e nel 2020 con Il colibrì).
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Nel 1991 Volponi si oppone alla fine del PCI e passa al neonato gruppo di Rifondazione Comunista, con cui viene eletto deputato l’anno successivo, ma nel 1994 muore per una grave malattia renale. Non possiamo ricordarlo come un autore di facile lettura: nei suoi romanzi si mescolano molte tematiche legate da un lato al suo costante impegno politico, dall’altro a una visione progressista dell’economia e dello sviluppo industriale, in apparente contraddizione con l’adesione al comunismo, idee che lo hanno posto spesso in conflitto con il suo grande amico Pier Paolo Pasolini.
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Rimane comunque un grande testimone della nascita e della crescita dell’industria italiana tra gli anni Cinquanta e Sessanta del ventesimo secolo: si può anzi dire che tutti i suoi libri siano riconducibili a quel periodo e che il suo percorso letterario non si sia evoluto più di tanto nei decenni successivi. La forte base ideologica che caratterizza sia le ambientazioni sia la costruzione dei personaggi determina anche un andamento particolare della sua scrittura, spesso molto riflessiva e tendente al saggio più che alla narrazione romanzesca. Uno scrittore forse “difficile”, ma che si fa testimone importante di un periodo cruciale nella storia italiana.
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