Scrittori da (ri)scoprire – Ottiero Ottieri
Ottiero Ottieri (Roma, 1924 – Milano, 2002) è forse il più importante esponente dei cosiddetti “scrittori di fabbrica”, vale a dire quegli autori che nelle loro opere hanno raccontato pregi e difetti dell’industrializzazione italiana nel secondo dopoguerra.
Nasce da una facoltosa famiglia toscana trapiantata a Roma (il suo nome completo era Ottiero Lucioli Ottieri della Ciaja) e cresce in un ambiente benestante, studiando nel collegio dei Gesuiti e laureandosi molto presto in lettere. Si dedica con passione a traduzioni dal greco e dall’inglese, scrive per varie riviste e nel 1947 vince il premio per racconti della rivista «Mercurio», diretta da Alba de Céspedes, ma non si trova a suo agio nell’ambiente letterario romano, che giudica troppo ristretto e in qualche modo fossilizzato.
Decide quindi di trasferirsi a Milano, città che negli anni della ricostruzione e del boom economico gli appare molto più stimolante della capitale. Qui segue con entusiasmo corsi di sociologia e di psicoanalisi, trova lavoro nell’ufficio stampa della Mondadori, frequenta ambienti socialisti e si fidanza con Silvana Mauri, nipote di Valentino Bompiani, che sposa nel 1950 (dal matrimonio nascono Maria Pace, che diventerà a sua volta scrittrice, e Alberto, oggi amministratore delegato di Messaggerie Libri).
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Divenuto direttore della rivista «La Scienza Illustrata», Ottieri segue con interesse sia gli sviluppi della tecnologia e l’evoluzione del mondo industriale, compresi i rapporti non sempre felici fra gli operai e la fabbrica, sia il mondo della psicoanalisi: entrambi gli ambiti saranno al centro della sua produzione letteraria.
Nel 1953 viene assunto all’Olivetti come selezionatore del personale, ma poco dopo si ammala di una grave forma di meningite e viene ricoverato per tre mesi in una clinica fiorentina, l’unica dove allora fosse possibile curare con successo la malattia. Adriano Olivetti gli mantiene posto e stipendio, ma una volta avvenuta la guarigione gli propone di trasferirsi a Pozzuoli, dove ha aperto da poco una fabbrica, pensando che possa beneficiare di un clima migliore di quello di Milano o di Ivrea.
Nel 1954 esce il primo libro di Ottieri, Memorie dell’incoscienza, scritto negli anni precedenti, che racconta parte delle sue esperienze giovanili e analizza il fascismo da un punto di vista psicologico, come una forma di infantilismo politico dovuta a una diffusa ignoranza.
La vita a Pozzuoli si rivela per Ottieri benefica: nel 1957 pubblica Tempi stretti, un’analisi convincente del mondo della fabbrica così come lo scrittore la vive in quegli anni. Il libro esce per Einaudi, editore molto interessato agli autori della “letteratura industriale”, ma viene criticato dai numi tutelari della casa editrice, Calvino e Vittorini. Due anni dopo quindi, per pubblicare un nuovo romanzo Ottieri si rivolge a Bompiani, che pubblica senza esitazioni quello che è considerato il romanzo più importante dello scrittore: Donnarumma all’assalto (1959). Nonostante i timori di diversi dirigenti aziendali, il libro piace molto ad Adriano Olivetti, che lo considera una testimonianza sincera e ricca di riflessioni sociologiche sul mondo operaio e sul contrasto tra Nord e Sud.
Dalla sua esperienza di selezionatore del personale, Ottieri ha imparato a conoscere bene le diverse realtà di chi cerca disperatamente di ottenere un posto in fabbrica, anche ricorrendo a qualsiasi mezzo come il protagonista del romanzo.
Il successo del libro spinge lo scrittore a tornare a vivere a Milano, rifiutando un incarico più prestigioso a Pozzuoli e accontentandosi di un contratto di consulenza con la Olivetti per potersi dedicare di più alla scrittura.
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La linea gotica (1963) è un diario dell’esperienza in fabbrica che vince il Premio Bagutta.
Nei primi anni Sessanta l’interesse per il mondo industriale viene in parte sostituito da quello per il cinema, che sta vivendo i suoi anni d’oro. Ottieri partecipa alla sceneggiatura di alcuni film, tra cui L’eclisse di Michelangelo Antonioni, e scrive un nuovo romanzo, L’impagliatore di sedie (1964) che in realtà è impostato come una sceneggiatura cinematografica. I divini mondani (1968) ironizza invece su certi ambienti mondani e festaioli che lo scrittore ama comunque frequentare, ma di cui non rinuncia a sottolineare vizi e manie, mentre Campo di concentrazione (1972) racconta un lungo periodo di depressione e vince il Premio Selezione Campiello. Anche Contessa (1976) tocca un tema psicoanalitico, quello dell’ansia che divora la protagonista, probabile alter ego dello scrittore.
Poesie, saggi, testi teatrali: non c’è settore in cui Ottieri non abbia sperimentato la sua curiosità intellettuale, toccando temi diversi e apparentemente in contrasto tra loro, fino a Il poema osceno (1996), la sua ultima opera in versi dedicata al sesso: già malandato in salute da alcuni anni, lo scrittore muore a Milano nel 2002 per un attacco cardiaco.
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