Scrittori da (ri)scoprire – Natalia Ginzburg
Natalia Levi Ginzburg (Palermo, 1916 – Roma, 1991) è una delle maggiori rappresentanti di quel filone letterario marcatamente introspettivo a cui appartengono molte delle grandi scrittrici del Novecento italiano ed europeo.
Nasce a Palermo ma cresce a Torino, città dove il padre Giuseppe Levi, un eminente scienziato di origine ebraica triestina, ottiene una cattedra universitaria dopo aver insegnato in altre città (sarà professore di tre premi Nobel: Salvador E. Luria, Rita Levi-Montalcini e Renato Dulbecco). La madre, Lia Tanzi, è cattolica, ma tutta la famiglia, in realtà aconfessionale, viene pesantemente segnata dalle leggi razziali e dall’appoggio fornito a numerosi oppositori del fascismo, come Filippo Turati e i fratelli Rosselli.
Per reagire all’emarginazione, Natalia si rifugia nella scrittura e inizia presto a pubblicare qualche racconto su riviste letterarie. Nel 1938 sposa Leone Ginzburg, professore universitario di letteratura russa, che la introduce nell’ambiente della casa editrice Einaudi. La coppia ha tre figli (il maggiore, Carlo, diventerà un importante storico e saggista) e dal 1940 al 1943 deve trasferirsi in un paesino abruzzese dove Leone deve scontare una condanna al confino.
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È lì che Natalia Levi scrive il suo primo romanzo, La strada che va in città (1942) che viene pubblicato con lo pseudonimo di Alessandra Tornimpietra per eludere le leggi razziali.
Nel 1944 Leone Ginzburg, arrestato dopo la caduta di Mussolini, viene torturato a morte nel carcere di Regina Coeli. La moglie entra a lavorare nella sede romana dell’Einaudi ma dopo la liberazione torna a vivere a Torino accanto alla famiglia paterna e nel 1947 pubblica il secondo romanzo, È stato così, firmandosi da quel momento in poi Natalia Ginzburg. Per molti anni lavora come consulente editoriale all’Einaudi, insieme al grande amico Cesare Pavese, a Italo Calvino e a Elio Vittorini: incorre in un clamoroso errore di valutazione quando esprime un parere negativo su Se questo è un uomo di Primo Levi (pubblicato nel 1947 da un piccolo editore e solo nel 1958 ripubblicato finalmente da Einaudi), ma nel 1954 si batte per far uscire il Diario di Anna Frank.
Nel 1950 Natalia Ginzburg si risposa con il grande anglista Gabriele Baldini e inizia a dedicarsi quasi completamente alla scrittura, nonostante il dramma familiare seguito alla morte di un figlio a meno di un anno e alla nascita di una figlia gravemente disabile. I romanzi Tutti i nostri ieri (1952) e Sagittario (1957) e i racconti Valentino (1957) sono tutti costruiti attorno a un’accurata indagine psicologica dei personaggi e al tema della memoria, che domina anche il suo libro più celebre Lessico famigliare, con cui nel 1963 vince il Premio Strega raccontando le vicende della famiglia Levi negli anni difficili prima e durante la Seconda guerra mondiale.
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Nel decennio successivo Ginzburg scrive opere teatrali di un certo successo (Ti ho sposato per allegria, del 1964, diventerà tre anni dopo un film di Luciano Salce, interpretato da Monica Vitti e Giorgio Albertazzi) e molti articoli e saggi di argomento letterario. Nel 1969 rimane vedova per la seconda volta e negli anni successivi torna alla narrativa, con Caro Michele (1974), Famiglia (1977), La famiglia Manzoni (1983), La città e la casa (1984). Nello stesso periodo si dedica a un intenso attivismo politico, partecipa a numerose battaglie della sinistra e siede in Parlamento dal 1983 al 1987 come deputata del PCI, morendo a Roma nel 1991.
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Scrittrice ruvida, poco passionale, abituata a narrare storie complesse adottando uno stile spesso scabro e minimalista ante litteram, Natalia Ginzburg nei suoi libri ha però raccontato molto di sé stessa e della sua vita ricca di avvenimenti e di legami importanti, da donna che è stata capace di costruirsi un ruolo importante in un mondo editoriale ancora estremamente maschilista, pur restando lontana dalle correnti e dalle mode letterarie del suo tempo. Due anni fa Sandra Petrignani le ha dedicato una bella biografia, La corsara (Neri Pozza, 2018) che è stata finalista al Premio Strega.
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