Scrittori da (ri)scoprire – Marise Ferro
Giornalista e traduttrice, Marise Ferro (Ventimiglia, 1905 – Sestri Levante, 1991) appartiene a quel gruppo di scrittrici italiane che si affermano nel secondo dopoguerra, affrontando in vari modi la questione femminile prima ancora dello sviluppo del movimento femminista vero e proprio.
Maria Luisa Ferro, che sceglierà lo pseudonimo di Marise pubblicando il primo libro, nasce a Ventimiglia, città di frontiera. La madre è figlia di un armatore locale, il padre è un ufficiale di carriera piemontese, ma il matrimonio non è felice e la coppia si separa nel 1911, due anni dopo la nascita di una seconda figlia, Silvana. Le due bambine, profondamente legate, vengono spesso affidate ai nonni materni e la nonna le fa familiarizzare con il francese, sua lingua materna. A partire dal 1922, con la scomparsa del nonno, madre e figlie si trasferiscono per alcuni anni a Bologna e poi, dal 1930, a Roma dove Marise, che ha compiuto studi irregolari, pubblica il suo primo romanzo, Disordine (1932).
L’anno successivo si stabilisce a Milano, dove lavora come giornalista per varie testate, tra cui «L’Ambrosiano», nella cui redazione incontra Guido Piovene: i due si sposano nel 1934 e nello stesso anno Ferro pubblica un secondo romanzo, Barbara, un romanzo di formazione piuttosto spregiudicato per l’epoca, che mette in allarme la censura fascista. Dopo aver vissuto per qualche anno a Londra, dove Piovene è inviato speciale per il «Corriere della Sera», la coppia entra in crisi, anche per motivi ideologici dovuti a una diversa visione della Guerra di Spagna, sostenuta da Piovene che all’epoca è convintamente fascista, ma avversata da Ferro, che nel 1938 rientra a Milano, e qui inizia a lavorare come traduttrice di romanzi francesi e continua l’attività giornalistica.
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Nel 1940 esce Trent’anni, un romanzo frutto del periodo di crisi coniugale, conclusosi con la separazione. Alla fine del 1941 Ferro incontra Carlo Bo, giovane e brillante professore universitario, col quale lascia Milano per sfuggire ai bombardamenti, rifugiandosi prima a Sestri Levante e poi a Valbrona, vicino a Como, dove la coppia rimane fino al termine della guerra.
Sono per Ferro anni di scrittura intensa e non solo giornalistica: pubblica infatti i romanzi Lume di luna (1943), Memorie di Irene (1944) e Stagioni (1946). La guerra è stupida (1949) racconta in particolare le difficoltà degli anni del conflitto, al termine del quale Ferro e Bo tornano a vivere insieme a Milano.
Nei vent’anni successivi la scrittrice sembra abbandonare la narrativa in favore di un’attività giornalistica molto intensa: tra il 1946 e il 1948 dirige «Foemina», uno dei molti settimanali nati in Italia nel periodo euforico dell’immediato dopoguerra, che si rivolge a un pubblico femminile colto e sofisticato. Della redazione fanno parte, tra le altre, Paola Masino e Alba De Céspedes, già scrittrice affermata, oltre a Titina Rota, disegnatrice e costumista del Teatro alla Scala e alla decana Sibilla Aleramo. L’esperienza non ha però vita lunga, anche se Ferro continua a scrivere per altre testate prestigiose, tra cui «Tempo» ed «Epoca». Il suo matrimonio con Piovene viene annullato nel 1950, ma solo nel 1963 si decide a sposare Carlo Bo, al quale rimane legata per tutta la vita.
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Dopo il saggio Le romantiche (1958), che comprende dodici biografie di donne famose, Ferro torna al romanzo con La violenza (1967), seguito dal saggio La donna dal sesso debole all’unisex (1970) che costituisce una summa del suo pensiero sul mondo femminile. Seguono diversi altri romanzi nel corso degli anni Settanta: Una lunga confessione (1972), Irene muore (1974), La ragazza in giardino (1976) e La sconosciuta (1978).
Profondamente colpita dalla morte in un incidente d’auto dell’amata sorella Silvana, nel 1979 Marise Ferro abbandona scrittura e giornalismo, trascorrendo i suoi ultimi anni tra Milano e Sestri Levante, dove muore nel 1991 al termine di una lunga malattia.
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