Scrittori da (ri)scoprire – Mario Pomilio
Mario Pomilio (Orsogna, 1921 – Napoli, 1990) è stato uno dei principali esponenti del mondo culturale della sinistra cattolica.
Nasce in un paesino in provincia di Chieti, in Abruzzo, da un padre maestro elementare di idee socialiste e una madre profondamente religiosa, espressione delle due linee di pensiero che lo accompagneranno per tutta la vita.
Ottimo studente, dopo aver ottenuto la maturità classica ad Avezzano, entra per concorso alla prestigiosa Scuola Normale Superiore di Pisa, dove frequenta la facoltà di lettere sotto la guida del grande critico Giovanni Macchia. Richiamato alle armi, torna ad Avezzano ma è costretto a entrare in clandestinità fino alla fine della guerra: nel 1945 riesce finalmente a laurearsi e a iniziare la carriera d’insegnante, partecipando anche attivamente alla politica, prima nel Partito D’Azione e in seguito in quello socialista.
Dopo due soggiorni all’estero per seguire corsi di perfezionamento a Parigi e a Bruxelles, Pomilio si stabilisce a Napoli, dove ottiene la cattedra d’italiano in un liceo e si sposa: sono gli anni del Neorealismo, che domina nella letteratura e nel cinema, ma la sua vocazione letteraria segue una strada completamente diversa, tra mille domande, dubbi e riflessioni.
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Il primo romanzo, L’uccello nella cupola (1954), si svolge a Teramo e racconta le angosce di un giovane prete alle prese con i problemi di chi si rivolge a lui in cerca di aiuto. Il libro ottiene un discreto successo e alcuni premi, così come il secondo romanzo, Il testimone (1956), che è un noir dai toni malinconici ambientato a Parigi.
I tragici fatti d’Ungheria del 1956 spingono Pomilio a scrivere Il nuovo corso (1959) un romanzo di fantapolitica ambientato in un futuro distopico, in cui ironizza sulla paura del nuovo che condiziona troppe scelte politiche. Anche La compromissione (1965) è imperniato su temi politici, raccontando ideali e compromessi della generazione divenuta adulta alla fine della Seconda guerra mondiale con una forte componente autobiografica, e vince il Premio Campiello.
Parallelamente alla scrittura narrativa, Pomilio pubblica anche diversi saggi di critica letteraria, collaborando a riviste e a quotidiani nazionali, e nel 1960 fonda con altri scrittori napoletani (Michele Prisco, Domenico Rea, Luigi Compagnone e Luigi Incoronato) la rivista culturale «Le ragioni narrative», che si propone un “ritorno all’umanesimo” in polemica con gli eccessi delle avanguardie.
Dopo il Cimitero cinese (1969), che è una riflessione sugli orrori della Seconda guerra mondiale, Pomilio scrive il suo romanzo più famoso, Il quinto evangelio (1975), vincitore di numerosi premi e tradotto in vari paesi, imperniato sulla ricerca di un presunto Vangelo perduto. Al romanzo è unito un testo teatrale sullo stesso argomento, portato successivamente in scena da alcune compagnie teatrali.
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Il Natale del 1833 (1983), vincitore del Premio Strega, è un romanzo-saggio in cui, partendo dai versi che il Manzoni scrisse per la morte della prima moglie Enrichetta Blondel, scomparsa appunto in quella data, Pomilio immagina il percorso di elaborazione del lutto da parte del grande scrittore, raccontandolo soprattutto attraverso le lettere che la madre Giulia Beccaria scambia con un’amica. In questo libro l’autore esprime le sue convinzioni religiose, ma anche incertezze e riflessioni di una continua ricerca spirituale sulla sofferenza dell’uomo e sulla morte.
Dopo un’esperienza politica come parlamentare europeo, eletto con i socialisti nella legislatura 1984-1989, Mario Pomilio si ammala di artrite reumatoide, malattia che lo debilita pesantemente e gli impedisce di continuare a scrivere. Muore a Napoli nel 1990.
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