Scrittori da (ri)scoprire – Giuseppe D’Agata
Giuseppe D’Agata (Bologna, 1927 – Bologna, 2011), sceneggiatore e autore di radiodrammi e soggetti televisivi, è uno di quegli autori che sono rimasti per lo più sconosciuti al grande pubblico pur avendo prodotto opere di grande successo.
Nasce a Bologna da una famiglia di origine molisana. Il padre è un tipografo e trasmette al figlio la passione per la stampa, così come veniva realizzata prima dell’avvento dei macchinari più moderni e poi del digitale. A quindici anni arrivano in casa un paio di romanzi vinti dal padre a una lotteria e il giovane D’Agata scopre che esiste una narrativa contemporanea oltre ai classici studiati a scuola, in particolare un romanzo così particolare come Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini. Due anni dopo, appena diciassettenne, se ne va di casa per entrare in una brigata partigiana d’ispirazione socialista e solo al termine della guerra riesce a completare gli studi, iscrivendosi anche alla facoltà di medicina.
Appassionato di pittura e di musica, dipinge e fa il batterista professionista in un’orchestra per un paio d’anni, mentre scrive anche i primi racconti, di chiara ispirazione vittoriniana.
Nel 1955 si laurea in medicina e inizia ad esercitare la professione, ma rimane strettamente legato al mondo letterario, collaborando a giornali e riviste dove pubblica racconti e tiene anche una rubrica di critica d’arte.
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Il suo primo romanzo, L’esercito di Scipione esce nel 1960 e ottiene una delle segnalazioni minori al Premio Viareggio: è la storia di un gruppo di soldati italiani che dopo l’armistizio dell’8 settembre decidono di disertare e di andare alla ricerca di un rifugio dove nascondersi. Il libro ottiene un discreto successo, viene ristampato più volte e molti anni dopo, nel 1977, diventerà anche uno sceneggiato televisivo diretto da Giuliana Berlinguer.
A partire dal 1963 D’Agata inizia una fitta collaborazione con la RAI, per la quale scrive adattamenti radiofonici di racconti, una versione del Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa trasmessa in varie puntate e alcuni radiodrammi. L’anno successivo esce il suo romanzo più celebre, Il medico della mutua (1964), una satira impietosa della sanità dell’epoca, che suscita furiose polemiche ma ottiene un largo successo, grazie soprattutto al successivo adattamento per il cinema, diretto da Luigi Zampa e interpretato nel 1968 da Alberto Sordi. Nei tre anni successivi D’Agata lascia la libera professione per fare il medico scolastico a Bologna, ma nel 1967 abbandona definitivamente la medicina e la sua città per trasferirsi a Roma, dove continua a lavorare con la RAI e viene anche eletto segretario del Sindacato Nazionale Scrittori.
Dopo il romanzo sperimentale Il circolo OTES (1966), esce Primo il corpo (1971), una metafora dei rapporti tra arte e scienza imperniata sui personaggi di Leonardo da Vinci e François Villon. Nello stesso anno la RAI manda in onda Il segno del comando, scritto e sceneggiato da D’Agata, un thriller con elementi paranormali che rimane tra le fiction di maggior successo per numero di spettatori in tutta la storia della televisione italiana.
La cornetta d’argento(1973) è la rielaborazione di una storia scritta anni prima, che con il titolo Bix e Bessie aveva vinto il premio letterario ideato per celebrare il ventennale della Resistenza: i protagonisti scoprono l’antifascismo attraverso la musica jazz.
Anche Il dottore (1976) torna al passato, narrando la vicenda di un uomo che nel 1940 progetta di assassinare Mussolini per evitare che l’Italia entri in guerra.
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Seguono I giorni della speranza (1978), America oh key (1984), la versione romanzata de Il segno del comando (1987) e alcuni romanzi di fantapolitica pubblicati a puntate su riviste, fino a I ragazzi del coprifuoco (2005), che rievoca episodi della Resistenza vissuti dal punto di vista di un adolescente.
Scrittore individualista e appartato, nonostante i successi televisivi Giuseppe D’Agata rimane sempre al di fuori degli ambienti e delle mode letterarie, fino a lasciare Roma per tornare nella sua Bologna, dove trascorrere gli ultimi anni di vita continuando a occuparsi con passione di arte contemporanea e dove muore nel 2011.
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