Scrittori da (ri)scoprire – Gianna Manzini
Gianna Manzini (Pistoia, 1896 – Roma, 1974) è stata la prima scrittrice a vincere il Premio Campiello nel 1971, dopo che le prime otto edizioni avevano premiato solo scrittori di sesso maschile (e un’altra donna, Rosetta Loy, vincerà di nuovo soltanto diciassette anni dopo, nel 1988): le recenti polemiche sulla scarsa presenza di autrici nelle rose di finalisti dei più importanti premi letterari italiani non è certo una novità.
Nata a Pistoia da una famiglia benestante, Gianna Manzini soffre fin da bambina per l’inconciliabilità di pensiero dei genitori: la madre è una rigida conservatrice, il padre nonostante la condizione alto borghese nutre idee anarchiche, tanto che viene esiliato dal regime e muore nel 1925 in seguito a un’aggressione fascista. Questi due genitori, separatisi pochi anni dopo la sua nascita, ritorneranno più volte come personaggi delle sue opere letterarie, perché la ferita della loro separazione sembra non rimarginarsi mai.
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Gianna Manzini studia all’università di Firenze, città culturalmente molto vivace negli anni del primo dopoguerra dove si trasferisce con la madre e dove conosce Bruno Fallaci, responsabile culturale del quotidiano «La Nazione» e futuro zio di Oriana Fallaci, che la spinge a pubblicare i primi racconti. I due si sposano nel 1920 e nel 1928 la Manzini pubblica il primo romanzo, Tempo innamorato, che ottiene un buon successo anche presso i critici. Nel 1930 Enrico Falqui eD Elio Vittorini scelgono lei come unica donna da includere nell’importante antologia Scrittori nuovi, che vuole offrire un panorama esauriente delle nuove tendenze letterarie italiane.
L’incontro con Falqui segna la fine del suo matrimonio e l’inizio di una convivenza tempestosa, che durerà comunque per tutto il resto della sua vita. La coppia si trasferisce a Roma e qui Gianna Manzini affianca alla costante attività di scrittrice di alto livello quella di giornalista frivola e scanzonata, che firma sotto pseudonimo delle rubriche di moda e di argomenti leggeri su diverse riviste e quotidiani.
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Nel 1956, ormai sessantenne, ottiene il primo riconoscimento importante vincendo il Premio Viareggio con il romanzo La sparviera, in cui rievoca una grave malattia avuta da bambina, di cui soffrirà le conseguenze fino alla morte. Scrive per tutta la vita molti racconti in cui affronta temi disparati, con un’attenzione particolare, che oggi potremmo definire ambientalista, per il mondo degli animali, ma nel romanzo Ritratto in piedi (1971), con cui vince il Campiello, e nell’ultima raccolta di racconti Sulla soglia (1973) sono ancora le figure dei genitori a occupare la scena. Muore a Roma nel 1974, pochi mesi dopo il suo compagno Enrico Falqui.
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Giuseppe Ungaretti scrisse a proposito del romanzo La sparviera che sarebbe stata «una delle pochissime opere di cui parlerà la gente di domani», ma la sua profezia non si è avverata e Gianna Manzini è entrata nel grande club degli scrittori dimenticati, pur essendo stata una delle scrittrici più all’avanguardia del suo tempo. Forse la prosa ricca e complessa, da intellettuale raffinata, che è stata apprezzata molto più dai critici e dai colleghi scrittori suoi contemporanei che dal grande pubblico, ne ha fatto una scrittrice per pochi, un’autrice di nicchia: l’unico e vero momento di popolarità è stato quello del Premio Campiello, che l’ha fatta conoscere anche a lettori meno sofisticati, ma la morte avvenuta appena tre anni dopo ha interrotto quello che poteva essere un percorso di scoperta, sia pure tardivo.
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