Scrittori da (ri)scoprire – Fabrizia Ramondino
Fabrizia Ramondino (Napoli, 1936 – Gaeta, 2008) fa parte della nutrita schiera di scrittrici che, pur avendo animato il mondo letterario nella seconda metà del Novecento, continuano a non avere lo spazio che meriterebbero nei testi di storia della letteratura italiana, che almeno a livello scolastico continua a essere una storia composta quasi esclusivamente da nomi maschili.
Nasce a Napoli ma trascorre infanzia e adolescenza in luoghi diversi, al seguito di un padre diplomatico: prima a Maiorca, poi a Madrid, quindi in Italia dopo l’8 settembre 1943, che costringe la famiglia a rifugiarsi a Santa Maria di Massa Lubrense, vicino a Napoli. Al termine della Seconda guerra mondiale il padre ottiene un nuovo incarico a Chambéry, ma dopo due anni muore improvvisamente, determinando il ritorno della famiglia a Napoli. Fabrizia cresce quindi in un ambiente cosmopolita, imparando diverse lingue grazie anche a successivi soggiorni in Francia e in Germania dove si mantiene con lavori saltuari. In seguito trova lavoro presso l’AIED (Associazione Italiana per l’Educazione Demografica) e si occupa attivamente dei bambini delle periferie cittadine.
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Nel 1960 sposa Francesco Alberto Caracciolo, appartenente a una famiglia aristocratica, ma l’unione è di breve durata. Pochi anni dopo Ramondino intreccia una relazione col giornalista Livio Patrizi, padre della sua unica figlia Livia, nata nel1966. Nello stesso anno inizia a insegnare francese e quindi a partecipare attivamente alle lotte politiche che agitano l’Italia a partire dal 1968, tanto che il primo libro che pubblica è un saggio sociologico: Napoli. I disoccupati organizzati (1977).
L’esordio narrativo avviene qualche anno dopo con Althénopis (1981), un potente romanzo autobiografico in cui descrive un’infanzia spensierata in un paese di mare nel napoletano, all’ombra dell’imponente personaggio della nonna, poi la Napoli occupata dai tedeschi, l’adolescenza tra soggiorni all’estero, studi irregolari e difficoltà economiche di una famiglia privata improvvisamente del padre, infine il rapporto tra la protagonista ormai adulta e una madre alle prese con un pesante decadimento psicofisico.
Il romanzo ha successo e viene tradotto in diverse lingue. Seguono i racconti di Storie di patio (1983) e un secondo romanzo, Un giorno e mezzo (1988).
Negli anni Ottanta la scrittrice trascorre lunghi periodi in Germania, al seguito della figlia che studia danza con Pina Bausch e pubblicando quindi un Taccuino tedesco (1987) e i racconti di In viaggio (1995), oltre a vari saggi su diversi aspetti e problemi della città di Napoli. Passaggio a Trieste (2000) racconta il disagio psichico attraverso i contatti avuti con il “centro donna salute mentale” di quella città.
Amica del regista Mario Martone, Ramondino lo segue nella realizzazione di un documentario in Africa e firma con lui la sceneggiatura del suo primo film, Morte di un matematico napoletano (1992).
Guerra di infanzia e di Spagna (2001), il terzo romanzo della Ramondino, intreccia i ricordi dei primi anni di vita a Maiorca con gli avvenimenti della guerra civile, che nello stesso periodo vedeva la Spagna dilaniata dalla lotta tra repubblicani e franchisti.
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Dal suo punto di vista di intellettuale cosmopolita, la scrittrice rifiuta ogni etichetta di “autrice napoletana”, sostenendo anche la piena appartenenza alla letteratura italiana delle opere di autori come Eduardo De Filippo e Raffaele Viviani, anche se Napoli rimane al centro di molte sue pagine, sia di narrativa, sia di saggistica.
Il libro dei sogni (2002) è il resoconto di una lunga esperienza personale di analisi junghiana. Dopo aver pubblicato altre raccolte di racconti e di poesie, Fabrizia Ramondino muore nell’estate del 2008 sulla spiaggia di Gaeta, colta da un malore dopo una nuotata, alla vigilia dell’uscita in libreria del suo quarto romanzo, La via, in cui abbandona la narrazione autobiografica per raccontare le vicende di un immaginario borgo di provincia del Meridione.
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