Scrittori da (ri)scoprire – Enrico Pea
Romanziere, poeta e drammaturgo, Enrico Pea (Serravezza, 1881 – Forte dei Marmi, 1958) è stato il grande narratore di un certo mondo popolare e contadino della Versilia a cavallo tra diciannovesimo e ventesimo secolo.
Nasce a Serravezza, in provincia di Lucca, nella modesta famiglia di un marmista. Quattro anni dopo la sua nascita un’alluvione spazza via la casa natale, costringendo la famiglia trasferirsi in un paese vicino, a casa del nonno materno Luigi Gasperetti. Il padre muore per un incidente sul lavoro, la madre se ne va per cercare lavoro come domestica e i tre figli vengono affidati a vari parenti. Enrico cresce con il nonno, personaggio complesso che in gioventù era stato ricoverato per alcuni anni in manicomio dopo un tentativo di suicidio causato da una morbosa gelosia nei confronti della moglie: i racconti drammatici e spesso legati all’esperienza del manicomio del nonno, con cui vive per qualche anno vagabondando per le campagne, influenzano molto la fantasia del giovanissimo nipote e compariranno poi nella sua produzione letteraria.
Nel 1894, alla morte del nonno, Pea rimane abbandonato a sé stesso e si arrangia lavorando qua e là come garzone e mandriano, entra per un breve periodo in convento per farsi frate ma poi finisce a lavorare ai cantieri navali di Livorno. Qui ritrova il fratello Gino e con lui s’imbarca come mozzo su un piroscafo diretto ad Alessandria d’Egitto, dove si era già stabilita la madre. Nella città egiziana, che all’epoca viveva una fase di forte sviluppo economico dopo l’apertura del Canale di Suez, Pea esercita diversi mestieri, tra cui il falegname e il marmista, si sposa con un’emigrata italiana da cui avrà tre figli e frequenta la “baracca rossa”, un ritrovo di anarchici, fuoriusciti, santoni ed emarginati di vario tipo. Qui Pea, che era ancora semianalfabeta, impara definitivamente a leggere e a scrivere e incontra Giuseppe Ungaretti, nato e cresciuto ad Alessandria d’Egitto da emigrati lucchesi, suo grande amico per tutta la vita. È Ungaretti che negli anni successivi lo incoraggia a scrivere e che nel 1910 riesce a fargli pubblicare Fole – racconti di vita marinara, una raccolta di brevi prose miste a componimenti in versi, in cui hanno largo spazio le tradizioni e il dialetto versiliano.
Fino allo scoppio della Prima Guerra Mondiale Pea effettua frequenti viaggi in Italia per lavoro, entra in contatto con diversi circoli letterari toscani e pubblica un paio di raccolte poetiche. Nel 1914 lascia definitivamente l’Egitto per stabilirsi con la famiglia a Viareggio, dove intraprende una nuova carriera di impresario teatrale, dirigendo tra l’altro per molti anni il Politeama viareggino. Tra il 1912 e il 1923 Pea scrive e mette in scena diversi drammi – Rosa di Sion, Giuda, Prime piogge d’ottobre, La passione di Cristo – d’ispirazione religiosa ma non privi, in principio, di elementi anarchici, tanto che Giuda viene accusato di blasfemia e sarà poi ripudiato dallo scrittore.
Moscardino (1922) segna l’esordio di Pea nella narrativa. Èun romanzo chiaramente autobiografico, ambientato nella Versilia della sua giovinezza e dominato da un personaggio ispirato al nonno Luigi, scritto in un linguaggio che mescola abilmente termini arcaici e dialetto versiliese fino a creare un pastiche linguistico originale che viene apprezzato da molti critici e da altri scrittori, come Ezra Pound che ne azzarda una traduzione in inglese. Le vicende di Moscardino proseguono nei successivi romanzi Il volto santo (1924) e Il servitore del diavolo (1929), mentre negli stessi anni Pea scrive diversi drammi sacri e collabora a riviste come Il Selvaggio, Strapaese, Pegaso, Nuova Antologia, interessandosi a un recupero delle tradizioni contadine e popolari della Lucchesia e scrivendo anche i romanzi per ragazzi L’acquapazza (1941) e Magoometto (1942). Aderisce al fascismo in quanto lo considera attento ai valori tradizionali e religiosi, ma dopo la pubblicazione dei romanzi Il forestiero (1937) e La maremmana (1938, vincitore del Premio Viareggio), che abbandonando l’atmosfera fiabesca dei precedenti si concentrano sulla realtà presente e accennano anche alla violenza del regime, nel 1943 è costretto a lasciare Viareggio perché accusato di antifascismo.
Nel secondo dopoguerra Pea, stabilitosi a Lucca, pubblica ancora i romanzi Lisetta (1946) e Malaria di guerra (1947), che riflettono sui drammi del recente conflitto, e le memorie Vita in Egitto (1949). In seguito fonda con altri intellettuali il Premio Lerici di poesia, che ancora oggi è attivo come Premio Lerici-Pea, tornando anche a dedicarsi alla messa in scena di drammi sacri. Malato di tubercolosi, Enrico Pea muore a Viareggio nel 1958.
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