Scrittori da (ri)scoprire – Curzio Malaparte
Uomo dalle molte vite, Curzio Malaparte (Prato, 1898 – Roma, 1957) è ancora oggi considerato uno degli scrittori più controversi del Novecento letterario italiano.
Nasce a Prato come Curt Erich Suckert, terzogenito di sette fratelli: il padre è un tintore tedesco impiegato nelle celebri aziende tessili della cittadina toscana, la madre Edda Perelli è milanese. Studia al liceo classico, ma nel 1914, appena sedicenne, decide di arruolarsi volontario nella Prima guerra mondiale e viene inquadrato in una brigata italiana che fa parte della Legione Straniera francese, dal momento che l’Italia è ancora neutrale: l’anno successivo, dopo l’entrata in guerra dell’Italia, passa nel Regio Esercito. Combatte al fronte e si merita una medaglia di bronzo, ma nel 1918 subisce un attacco tedesco a base dei famigerati gas e l’iprite gli danneggia pesantemente i polmoni.
Alla fine della guerra inizia a lavorare come giornalista e cerca di pubblicare il suo primo libro, un memoir intitolato Viva Caporetto! Il manoscritto viene respinto da diversi editori, esce finalmente nel 1921 ma viene subito ritirato perché accusato di vilipendio delle Forze Armate ed è ripubblicato poco dopo come La rivolta dei santi maledetti.
L’autore accusa di incompetenza lo stato maggiore dell’esercito e lo considera responsabile del disastro, e vede anche nella rotta delle truppe una sorta di rivoluzione del popolo italiano, simile a quella russa appena avvenuta, ma esauritasi senza successo.
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Nonostante una giovanile adesione al Partito Repubblicano, Suckert simpatizza presto con il fascismo, vede in Mussolini l’emblema del popolo italiano con tutte le sue contraddizioni e arriva persino a sostenere lo squadrismo che porta al delitto Matteotti. Nel 1925 inizia a firmarsi come Curzio Malaparte, si iscrive al Partito Nazionale Fascista e firma il Manifesto degli intellettuali fascisti, collocandosi tra i “rivoluzionari”, o fascisti di sinistra, come i futuristi e molti altri nomi destinati alla celebrità, tra cui Elio Vittorini.
È tra i fondatori del movimento “Strapaese”, populista e nazionalista, che critica tra l’altro le distruzioni di borghi e monumenti antichi operate dal fascismo alla ricerca della modernità, ma segue anche il movimento contrario denominato “Stracittà”, proiettato verso il futuro e la modernità metropolitana: per tutta la vita Malaparte non ha problemi a passare da un’ideologia a un’altra, da un pensiero al suo opposto.
Nel 1931 esce in Francia il saggio Tecnica del colpo di Stato, che racconta l’ascesa di Mussolini, ma viene censurato per le pesanti critiche rivolte al nascente nazismo. Poco tempo dopo, a seguito di una polemica con il potente ministro Italo Balbo viene anche mandato al confino, prima a Lipari e poi a Ischia, ma l’amicizia con Galeazzo Ciano gli permette di continuare a mandare i suoi articoli a vari giornali e infine di ridurre la pena.
Ha anche una intensa relazione con Virginia Bourbon Del Monte, giovane vedova di Edoardo Agnelli, ma il matrimonio viene impedito dal potente ex suocero di lei, Giovanni Agnelli, proprietario della Fiat.
Le sue opere di narrativa sono di stampo autobiografico e nascono soprattutto dalle esperienze di guerra, come Fughe in prigione (1936), Sangue (1937).
Contrario alle leggi antisemite, Malaparte assume in una rivista che dirige Alberto Moravia e Umberto Saba, entrambi di origine ebraica. Compie anche un lungo viaggio in Africa Orientale e scrive molte corrispondenze per vari giornali, che solo pochi anni fa sono state raccolte nel volume Viaggio in Etiopia e altri scritti africani (2006).
Richiamato alle armi allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, Malaparte fa il corrispondente di guerra al seguito delle truppe tedesche e sperimenta la durezza del fronte orientale, guadagnandosi un altro periodo al confino per aver elogiato la resistenza russa ai nazisti.
Dopo l’armistizio, lo scrittore collabora con gli Alleati e viene impiegato come ufficiale di collegamento. In questo periodo scrive il primo romanzo, Kaputt (1944), un atto di accusa spietato contro le atrocità della guerra.
Trovandosi a Napoli nei giorni della liberazione della città, scrive il suo romanzo più famoso, La pelle (1949), in cui ne descrive lo stato disastroso, la miseria e i disagi profondi senza omettere particolari anche molto crudi, tanto che il libro suscita non poche polemiche. Il titolo originale avrebbe dovuto essere La peste, ma l’editore decide di cambiarlo perché due anni prima era uscito il celebre romanzo omonimo di Albert Camus.
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Nel dopoguerra, Malaparte opera l’ennesima trasformazione e si avvicina al comunismo, grazie all’amicizia con Palmiro Togliatti che lo fa collaborare all’Unità. Scrive e dirige anche un film neorealista, Il Cristo proibito (1950), oltre a diversi drammi teatrali.
Il passato fascista gli viene continuamente rinfacciato e molti intellettuali della sinistra, tra cui Calvino, si oppongono alla pubblicazione dei suoi saggi su riviste del PCI.
Da giornalista, compie lunghi viaggi in Cina, dove conosce e apprezza Mao Zedong, e anche in Russia. Proprio dalla Cina deve però tornare con urgenza in Italia, nel 1957, perché gravemente malato ai polmoni, debilitati fin dai tempi del gas inalato durante la Prima Guerra Mondiale: gli viene diagnosticato un tumore e muore in un ospedale romano, dopo una presunta conversione al cattolicesimo, forse l’ultima giravolta di uno spirito inquieto e fondamentalmente anarchico.
Molti altri scritti, sia di narrativa, sia di saggistica, tra cui una personalissima biografia di Mussolini, verranno pubblicati postumi e nel 1981 Liliana Cavani girerà il film La pelle dall’omonimo romanzo, con protagonista Marcello Mastroianni.
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