Scrittori da (ri)scoprire – Bianca Garufi
Bianca Garufi (Roma, 1918 – Roma, 2006), oltre che figura di spicco nella storia della psicoanalisi italiana, come pioniera degli studi junghiani, è stata poetessa e narratrice.
Nasce a Roma verso la fine del primo conflitto mondiale da una coppia di aristocratici siciliani: la madre, unica superstite di una ricca famiglia completamente annientata dal terribile terremoto di Messina e Reggio Calabria del 1908, che aveva raso al suolo le due città e causato quasi centomila morti, è una donna forte e in anticipo sui tempi, con la quale la figlia avrà sempre un rapporto molto complesso.
Garufi cresce in un ambiente colto, tra gli studi in un collegio romano e le lunghe vacanze estive nel palazzo di famiglia a Letojanni, sulla costa sicula vicino a Taormina. Qui sviluppa un forte amore per la Sicilia, per la sua cultura e per i suoi miti, che in seguito influenzerà sia le sue opere letterarie, sia il suo interesse per la psicoanalisi junghiana, dove il mito assume un ruolo fondamentale.
Durante la guerra, a Roma, entra nella Resistenza e collabora con Fabrizio Onofri, figura di spicco del PCI che organizza una rete di supporto alle persone in difficoltà. Nel 1944 inizia a lavorare negli uffici romani della casa editrice Einaudi, con Natalia Ginzburg e soprattutto con Cesare Pavese, col quale sviluppa un forte legame affettivo, anche se si sottrae a uno sbocco sentimentale auspicato dallo scrittore piemontese.
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Pavese è al tempo stesso attratto e impaurito dalla psicologia junghiana a cui Garufi si è avvicinata nel corso degli studi universitari, scrivendo tra l’altro come tesi di laurea il primo saggio su Jung pubblicato in Italia, ma sotto l’influenza della collega scrive una delle sue opere maggiori, i Dialoghi con Leucò, che le dedica nel 1947 (Leucò è una traslitterazione greca del nome Bianca), oltre a diverse poesie. Tra i due, oltre a svilupparsi un appassionato scambio epistolare, che verrà pubblicato solo dopo la scomparsa di entrambi, nasce anche il progetto di un romanzo scritto a quattro mani, Fuoco grande, nei cui protagonisti Giovanni e Silvia è facile riconoscere molti tratti autentici dei due scrittori.
Nel 1950 Cesare Pavese si suicida in un albergo torinese e Bianca Garufi, pur mantenendo i contatti con il mondo editoriale, per il quale effettua importanti traduzioni dal francese, si orienta sempre di più verso la psicoanalisi.
Nel 1959 pubblica Fuoco grande, che esce firmato da lei e da Pavese, di cui scrive da sola un seguito, Il fossile (1962). Si trasferisce per un certo periodo in Francia, dove sposa un dirigente francese della Olivetti, che segue poi in frequenti spostamenti di lavoro in varie parti del mondo, da New York a Hong Kong, fino a ristabilirsi nuovamente a Roma nel corso degli anni Settanta.
Nel 1968 esce l’ultimo romanzo di Garufi, Rosa Cardinale, forte analisi psicologica di un complesso personaggio femminile, che chiude l’esperienza narrativa della scrittrice. Gli anni successivi la vedono fortemente impegnata sulle tematiche femministe, a proposito delle quali scrive qualche articolo e anche un testo teatrale, Femminazione (1974), ma il lavoro di psicoanalista prende definitivamente il sopravvento su quello letterario: abbandonando la narrativa, nell’ultima parte della sua vita Garufi scrive fondamentalmente saggi e articoli su riviste di settore, anche di risonanza internazionale.
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Non rinuncia però a scrivere poesie, come aveva iniziato a fare negli anni giovanili: una raccolta di testi scritti dal 1938 al 1991 esce nel 1992.
Bianca Garufi muore a Roma nel 2006. Cinque anni dopo viene pubblicato Una bellissima coppia discorde. Il carteggio tra Cesare Pavese e Bianca Garufi (1945-1950).
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