Scrittori da (ri)scoprire – Alberto Arbasino
Alberto Arbasino (Voghera, 1930 – Milano, 2020) è uno dei maggiori narratori di quella provincia italiana che, pur con tutti i suoi pregi e difetti, costituisce da sempre l’ossatura del paese.
Nasce a Voghera, in provincia di Pavia, primo di tre fratelli. Dopo la maturità liceale si iscrive alla facoltà di medicina a Pavia, ma alla fine del terzo anno abbandona quel percorso per trasferirsi a Giurisprudenza, presso l’Università Statale di Milano. Si laurea nel 1955, diventa assistente del professor Roberto Ago con cui aveva preparato la tesi e due anni dopo lo segue a Roma, dove Ago ha ottenuto una cattedra a Scienze Politiche. Nello stesso periodo inizia a scrivere racconti e nel 1957 esordisce con la raccolta Le piccole vacanze, editata da Italo Calvino, che comprende vari testi già apparsi su alcune riviste.
Segue una seconda raccolta, L’anonimo lombardo (1959): entrambi i libri, come quasi tutte le opere di Arbasino, avranno diverse riedizioni nei decenni successivi, con modifiche e aggiunte sostanziali, ma i temi principali – la vita di provincia con i suoi limiti e le sue ristrettezze, i salotti dove viaggiano i pettegolezzi – sono presenti fin dall’esordio.
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La carriera universitaria offre ad Arbasino la possibilità di viaggiare e di trascorrere dei periodi di studio all’estero: Parigi o cara (1960) raccoglie le brillanti osservazioni annotate durante il soggiorno nella capitale francese. La bella di Lodi è invece un romanzo che esce a puntate su un giornale nel 1960, viene adattato per il cinema da Mario Missiroli e arriverà in libreria solo nel 1972, entrando tra i finalisti del Campiello.
Fratelli d’Italia (1963) è il più impegnativo romanzo dello scrittore, che raccontando un lungo viaggio attraverso l’Europa di due giovani omosessuali traccia un grande affresco del mondo culturale italiano dell’epoca. Rivisto e ampliato nel 1967, nel 1976 e infine nel 1993, vincerà con quest’ultima edizione il Premio Selezione Campiello.
Arbasino è tra i fondatori del celebre Gruppo 63, definitosi di neoavanguardia, che criticava in modo aspro la narrativa contemporanea, giudicando negativamente autori molto popolari, come Vasco Pratolini, Carlo Cassola o Giorgio Bassani, ma che era destinato a rimanere un movimento elitario, seguito dai critici ma in definitiva ignorato dal grande pubblico. Alcuni esponenti avrebbero raggiunto il successo passando a una narrativa tradizionale, come Umberto Eco o Sebastiano Vassalli.
Nel 1965 Arbasino abbandona la carriera universitaria per dedicarsi solo alla scrittura e al giornalismo, prima collaborando con il «Corriere della Sera» e poi con «La Repubblica», di cui partecipa alla fondazione nel 1976.
Super Eliogabalo (1969) è un romanzo surrealista, che racconta un fine settimana romano di un moderno imperatore e che suscita parecchie perplessità tra i critici e i lettori.
Uomo colto e curioso, lo scrittore infarcisce i suoi libri di citazioni e rimandi così fittamente intrecciati che a volte stordiscono il lettore, oltre a coniare espressioni entrate nel linguaggio quotidiano, come la famosa “casalinga di Voghera” presa ad esempio di persona comune, oppure la “gita a Chiasso” con cui esortava gli intellettuali italiani ad andare spesso all’estero per rendersi conto di ciò che esisteva al di fuori dei confini nazionali.
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Nei decenni successivi Arbasino si dedica maggiormente alla saggistica, pubblicando molti resoconti dei suoi viaggi, tra cui Trans-Pacific Express (1981), Mekong (1994), Lettere da Londra (1997), testi di critica letteraria e acute indagini di costume, come Un paese senza (1980) che è un feroce ritratto dell’Italia degli anni Settanta.
Appassionato di politica, si candida per il Partito Repubblicano e viene eletto deputato nella nona legislatura, dal 1983 al 1987, continuando l’attività giornalistica e di saggista.
Muore a Milano, novantenne, nella primavera del 2020. Dieci anni prima, in occasione dei suoi ottant’anni, Mondadori ne aveva raccolto le opere principali in due volumi della collana Meridiani.
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