Sciascia e l’attenta analisi della realtà
Grande esponente del realismo critico, Leonardo Sciascia si è spinto a fondo nell’analisi della realtà italiana, concentrando nelle sue opere la grande passione letteraria in unione con il mondo oggettivo, con tutti i suoi rischi, e con la ragione che tenta di sviscerare gli avvenimenti del presente.
Sciascia reinterpreta gli eventi contemporanei utilizzando il punto di vista della grande letteratura del passato, mantenendo costante un impegno civile e politico, partecipando attivamente alla vita pubblica e cercando di definirne i tratti essenziali.
L’autore nasce nel 1921 a Racalmuto, paese dell’Agrigentino, e viene iniziato alla lettura fin dall’infanzia dalla madre e dalle zie, insegnanti alle scuole elementari. E diventerà lui stesso insegnante, fin quando il lavoro letterario e l’impegno politico lo assorbiranno completamente.
Verso gli anni ’50 comincia, infatti, la sua attività letteraria, seguita da numerose iniziative culturali, e le sue prime opere attirano già interesse. Sciascia narra la sua Sicilia, racconta una terra contradditoria, dove la bellezza si accompagna alla difficoltà della vita, un luogo in cui si muovono oscure trame di potere che annullano la forza della ragione. Lo scrittore, al contrario, mira proprio a usare il potere razionale per ricercare una realtà che sia libera dalla violenza.
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Tramite i suoi personaggi, racconti, romanzi, si afferma come autore drammatico, e la sua fama si accresce sempre di più; a Palermo contribuisce a fondare la casa editrice Sellerio, mentre a Roma prosegue la sua attività politica dopo alcuni dissidi col Partito comunista, che riprenderanno con toni ancora più aspri nel 1977, quando si dimetterà dal consiglio comunale palermitano rifiutando il “compromesso storico”.
Le polemiche più accese giungono, però, nel 1978, quando esce L’affaire Moro, in cui Sciascia espone le sue riflessioni sul caso Moro. Nel mentre, lo scrittore soggiorna spesso a Parigi, lontano dal clima pesante romano, avvicinandosi in seguito al Partito radicale, e divenendo deputato alla Camera dal 1979 al 1983; proprio in questi anni sarà membro della Commissione parlamentare d’indagine sull’assassinio di Aldo Moro.
Ma la polemica più violenta, la denuncia più forte, Sciascia la rivolgerà al potere mafioso, e anche ai metodi utilizzati per combatterlo. La Sicilia è infatti soffocata dalla mafia, che Sciascia avverte come la peggior perversione della realtà italiana.
Dopo la pubblicazione dei libri Le parrocchie di Regalpetra del 1956 e Gli zii di Sicilia tra 1958 e 1961, arriva il grande successo con Il giorno della civetta, sempre nel 1961. Il romanzo è ua grande denuncia rivolta alla mafia, per la prima volta il mondo mafioso viene descritto, raccontato, analizzato nelle sue ramificazioni sociali e politiche. La struttura dell’opera segue l’impianto del romanzo giallo, e prende le mosse da un fatto reale, l’omicidio del sindacalista Miraglia del 1947.
Il protagonista è un ufficiale dei carabinieri, il capitano Bellodi, uomo convinto dei principi democratici, che crede in una società moderna. A Bellodi viene affidata l’indagine dell’assassinio di un costruttore in un paese della Sicilia non ben identificato. Il capitano incontra da subito l’omertà dei cittadini, ma la sua professionalità e intelligenza gli permettono di proseguire l’indagine, comprendendo che si tratta di un delitto di stampo mafioso, in quanto il costruttore aveva rifiutato la protezione offerta da esponenti mafiosi.
In particolare, nel racconto emerge una fortissima connessione tra mafia e politica, che contribuisce a osteggiare Bellodi nel suo lavoro, fino a togliergli il caso quando gli esponenti politici ed ecclesiastici romani temono di venire coinvolti. Vengono costruite prove false, alibi fittizi, e l’indagine passa da omicidio di mafia a omicidio passionale, e spostando l’attenzione su altri sospettati. Nel finale del racconto, Bellodi è tonato a Parma, in congedo, demoralizzato e abbattuto dall’esperienza vissuta; sembra uno sconfitto, un uomo che deve rinunciare alla sua lotta, ma l’incontro con una vecchia amica lo convince a ricominciare. Comprende di amare la Sicilia e di voler tornare per proseguire la lotta che aveva iniziato.
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Sciascia sviluppa una descrizione molto realistica nel romanzo, e protagonista diviene anche il linguaggio, che definisce ancor meglio i personaggi: il capitano Bellodi usa un registro molto colto e formale, i carabinieri della stazione siciliana utilizzano un linguaggio più popolare, mentre più complicati appaiono i dialoghi tra gli esponenti mafiosi, ambigui e infarciti di significato più oscuro.
Lo stile narrativo è rapido, le scene si susseguono, così come i fatti, dedicando spazio solo ai pensieri dei personaggi, raccontati da un narratore esterno e onnisciente.
Sciascia prende le mosse dalla realtà siciliana, che ben conosce, e amplia poi lo sguardo sulla realtà italiana, sulle relazioni sociali e le relative complicazioni, mantenendo fermi valori come libertà, giustizia e razionalità. Seppure la ragione possa essere sconfitta, essa rimane un baluardo contro i poteri perversi descritti dall’autore, così come resta necessaria contro le ambiguità che si incontrano nella vita.
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Riferimenti bibliografici
Leonardo Sciascia, in L’esperienza letteraria in Italia. Dal secondo Ottocento al Duemila, volume 3B, Milano, Mondadori, 2006, pp.73-76.
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