Scacco matto – “La bellezza delle cose fragili” di Taiye Selasi
Non so che rapporto abbiate con gli scacchi, se siete fra coloro che ne hanno una venerazione dogmatica, ritenendo che siano la chiave univoca per testare l’intelligenza delle persone, oppure se vi limitiate a collezionarli in pietra o in giada, perché danno un certo tono. O ancora se li troviate noiosissimi e non siete mai riusciti a capire perché bisognerebbe osservare due tizi dall’aria depressa che fissano la scacchiera immobili. A qualsiasi categoria apparteniate, vi diamo il benvenuto a una sfida a colpi di parole che vedrà ogni mese me e Ivonne Rossomando confrontarsi sulla scacchiera di parole, personaggi e idee su cui si regge un romanzo, cercando di dimostrare ognuno la propria tesi sulla storia che l’autore prescelto ci ha voluto narrare. Alla fine sarete sempre voi a decidere.
Per la prima uscita, abbiamo scelto La bellezza delle cose fragili (Einaudi, 2013, traduzione di Federica Aceto) di Taiye Selasi. Scrittrice e fotografa di origine ghano-nigeriana, Selasi ha vissuto a lungo in America e in Inghilterra, per poi approdare in Italia, dove ha partecipato, come “giurato”, a Masterpiece.
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Il primo impatto
PF: L’idea con cui si apre il romanzo: la morte di Kweku prolungata all’infinito, attraverso la quale il lettore entra nella storia, è molto interessante e avvince, ma sembra accorgersene subito anche l’autrice, che inizia a reiterare particolari e aggettivi, allungando, di parentesi in parentesi, la linea temporale e la relativa sacca di ricordi che in essa si nasconde. Questo crea un “effetto boomerang” nella mente del lettore, indebolendo l’intuizione dell’incipit.
IR: Non sono d'accordo. La morte di Kweku diventa per la sua famiglia, nella quale ogni legame è stato distrutto, quasi l'occasione di un nuovo inizio. Questo giustifica l’allungarsi della narrazione. E anche l'attenzione ai dettagli, grazie a una prosa suggestiva, denota solo la straordinaria sensibilità della Selasi, con le sue immagini vibranti e piene di poesia. La stessa descrizione della morte del “Carson del Ghana”, con il particolare del paio di pantofole all'uscio di casa, è un indizio indicativo del dolore e della nostalgia che pervadono tutto il romanzo.
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Struttura
PF: Taiye Selasi sceglie di costruire un romanzo a pannelli, con un continuo time shift, in avanti e indietro, da diversi punti di vista. Ciò dimostra una meticolosa costruzione del flusso narrativo, per garantire al lettore, magari a distanza di cento pagine, lo svelamento di tutti i comportamenti dei suoi personaggi, che hanno una loro precisa motivazione e giustificazione. Il moltiplicarsi degli incisi e delle visioni rallenta, però, il ritmo della storia e spinge il lettore a saltare le numerose parentesi di cui Taiye Selasi dissemina il romanzo e cui sembra essere affezionata.
IR: Ma gli incisi e le visioni sono fondamentali per il ritmo della storia. Pensiamo per esempio a quando Taiwo e Kehinde (i due gemelli figli di Kweku) ricordano l'incanto del Larz Anderson Park. In piena notte, in un parco buio e vuoto, la famiglia Sai cammina sulla neve fresca e perfetta, sotto le stelle ammiccanti, ebbra di gioia sugli slittini, con la pelle cinerea per il freddo. Rappresenta, per una volta, una famiglia unita e felice che gioca in mezzo alla neve, senza le tortuosità mentali e le arrabbiature che sarebbero seguite.
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Personaggi
PF: Parliamo allora dei personaggi che compongono la famiglia Sai. In una chiacchierata con lo scrittore americano Philipp Meyer, arrivato in Italia per presentare il suo secondo imponente libro (The Son), Taiye Selasi ha più volte affermato che il fulcro della propria narrativa è l’amore e le relazioni che proprio l’amore incolla alle persone. Ma è vero solo in parte. Nel suo romanzo d’esordio la Selasi offre al lettore la storia di una famiglia che, come lei, ha radici fra il Ghana e la Nigeria e che, come lei, ha vissuto negli Stati Uniti per molti anni. Una famiglia che, per tutta la durata del romanzo, sembra stupirsi del perché la loro piccola società, fondata sui legami di sangue e sull’impossibilità di dirsi le cose come stanno, non abbia funzionato. Più che dell’amore, la Selasi sembra parlarci della sua mancanza. Mancanza che genera risentimento di cui, lo sappiamo bene, ogni famiglia che si rispetti si è nutrita almeno una volta, Tolstoj insegna. Nella famiglia creata dalla Selasi, però, tutti i membri sembrano soffrire della stessa mancanza, carenza affettiva ricevuta o offerta. I quattro figli di Kweku si sentono incompresi e “sbagliati”, sebbene per ragioni diverse. Così la moglie di Kweku, Fola, che ha un legame talmente radicato con loro da sentirne le ansie proiettate nel proprio ventre, eppure sembra fare di tutto per allontanarli e, quando il marito l’abbandona, non fa nulla di concreto per recuperare il loro rapporto, che pensa di non meritare. Lo stesso Kweku, nel lungo flashback “intra-mortem” ideato dalla Selasi per iniziare a narrare la sua storia, si sente mancante di radici, di ragioni per meritarsi la sua famiglia, di scelte per cambiare la sua situazione. L’io narrante ha immerso questa famiglia nel dolore e nella privazione, e la tiene, con dolce e complice fermezza, con la testa sotto l’acqua di un lago oscuro, fatto di errori e ascolti selettivi. Ma possibile che tutti i membri di questa famiglia siano costruiti allo stesso modo? Dov’è l’egoista, l’egocentrico vero (e non di copertura come Kweku)? Dov’è quel po’ di sana crudeltà che scorre sotto ogni famiglia? Certo, l’autrice ci propone una fantomatica coppia di zii, molto caricaturale, che mettono in atto una grave violenza con sprezzante piacere, ma sono troppo poco definiti come personaggi per crederci fino in fondo.
IR: Tu dici? Eppure una differenziazione sussiste. Soprattutto per le protagoniste femminili di questo romanzo, toccanti nella loro fragilità e incomparabile bellezza. Divise tra dolore e nostalgia, rancori e speranze, persuase che l'unico modo per andare avanti sia quello di non guardarsi mai alle spalle. Taiwo, con i suoi stupendi occhi d'ambra; Sadie la dolce; Fola, che combatte da sola contro il mondo; Ama, che l’ha sostituita nel rapporto con Kweku proprio perché non è una combattente. E infine la madre di Kweku, che «schiacciando patate dolci aveva sempre desiderato andare via». Sono tutte donne che rappresentano quel sogno di felicità che non si è avverato perché gli dei non amano la felicità degli uomini e per questo la rendono fragile. «Il mondo, a volte, è troppo bello», dirà Kweku prima di morire, ma l'errore degli uomini è scoprirlo tardi!
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Stile
PF: Certo, le figure più ricche e complete sono quelle femminili in questo romanzo (e la forza narrativa di quelle maschili ne risente), e questo influenza anche i dialoghi. Potenti nella loro giusta essenzialità, sono spesso la parte più vera del testo, bilanciati da un interessante uso dei silenzi. Come molti narratori, Taiye Selasi usa la sensorialità (un gesto, un odore, un gusto specifico) per attivare la macchina dei ricordi dei singoli personaggi, ma ciò che colpisce il lettore è soprattutto l’uso dei silenzi rivelatori. Assorbono ogni rumore e preparano a una scoperta, come nel caso della visita di Kweku a sua madre. I dialoghi dei personaggi femminili di questo romanzo, Taiwo, Sadie e soprattutto Fola, sono il luogo dove l’io narrante si lascia meno andare alla necessità di spiegare troppo, come accade invece in molti passaggi del discorso indiretto, quasi Taiye Selasi non credesse che il lettore possa comprendere appieno la storia che ci sta narrando senza l’aiuto dell’autore, le sue specifiche, le sue indicazioni. Indicazioni agganciate a parentesi e incisi che rischiano di guidare sì il lettore in ogni interstizio della storia, facendogli però perdere la visione d’insieme, il paesaggio narrativo che la Selasi gli offre e che vale decisamente la pena osservare.
IR: L’uso delle parentesi chiarificatrici nasce anche da uno studio meticoloso della lingua, associato a un occhio perfetto per i dettagli, a una tecnica impeccabile e a una prosa suggestiva. Anche la costruzione temporale e narrativa, così come la cadenza e le sonorità ricercate, rivelano la capacità poetica dell'autrice che si riflette nella descrizione della sua terra, della luce africana con il suo incantesimo, del giardino di Kweku «rigoglioso, morbido, verdissimo, con l'erba dell'amore, le palme alte come bambini e i fiori d'ibisco in un tumulto straordinario e disordinato di colori».
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La conclusione
PF: La bellezza delle cose fragili è un romanzo da leggere perché ha in sé la necessità di narrare una storia e di condividere un’esperienza. Necessità che in alcuni momenti l’impalcatura di continue spiegazioni fornite dall’io narrante al lettore riesce a superare, insieme alla paura di non arrivare, limitandosi a esprimersi. Questi sono i momenti migliori del romanzo, sono quelli che il lettore ricorderà. Probabilmente una versione asciugata del testo, che lo rendesse meno a “prova di lettore”, avrebbe potenziato la forza delle suggestioni che il romanzo offre. Le potenzialità per un romanziere ci sono però tutte. Proprio per questo il lettore attento diventa più severo con questo romanzo, aspettando già Taiye Selasi alla sua seconda prova.
IR: Questo romanzo mi ha fatto scoprire una “vera” grande scrittrice, il suo mondo, il dolore dell'Africa e dei suoi protagonisti, personaggi resi duri dalla vita e dalle loro esperienze. Esperienze in cui mi sono specchiata e riconosciuta, grazie a una storia familiare che potrebbe appartenere a tutti noi, sempre troppo chiusi nel nostro quotidiano e incapaci di chiedere aiuto a chi ci sta accanto, ma contemporaneamente accompagnati dalla speranza che la felicità riesca, qualche volta, a sopravvivere come «un albero di mango verdeggiante».
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E adesso tocca a voi. Diteci cosa ne pensate.
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