Scacco Matto 6 – “La ferocia” di Nicola Lagioia
La ferocia. Parente riflessivo e altolocato della rabbia, si spande sulle nostre giornate sotto traccia. È questa almeno l’idea di Nicola Lagioia, che nel suo ultimo romanzo (appunto La ferocia, Einaudi, 2014) lascia che il lettore ne sia pervaso a tal punto da considerarla il male minore. Ci è riuscito fino in fondo? Ne abbiamo fatto il campo di battaglia del sesto numero di Scacco Matto, partita a colpi di parole che vede ogni mese me (Pierfrancesco Matarazzo) e Ivonne Rossomando confrontarsi sulla scacchiera di personaggi e idee su cui si regge un romanzo.
Partiamo come sempre dalla storia che l’autore ci propone.
Clara Salvemini, figlia di un noto costruttore di Bari, cammina, in una calda notte primaverile, al centro di una strada statale. È nuda e coperta di sangue. I fari di un camion puntano diritti su di lei, ma alcune ore dopo verrà ritrovata, morta, ai piedi di un autosilo: suicidio. Versione che non convince soprattutto il suo fratellastro, Michele, che inizierà a scavare nei segreti di famiglia, mostrando al lettore le numerose maschere che i Salvemini hanno indossato e indosseranno per preservare il loro status dalla verità. In un sistema di omissioni che si basa su una legge condivisa e definitiva: «Chi sa tace, chi parla non sa», i Salvemini si autodistruggeranno rendendo la ferocia delle loro azioni e dei loro pensieri il vero protagonista del romanzo.
Il primo impatto
PM: Questo è un romanzo in bilico fra vari stili e registri: noir, gotico, intimista, psicologico. Il lettore lo avvicina partendo dalla notte, che sarà poi protagonista di molte delle azioni e dei pensieri più scellerati dei Salvemini. Una notte cui l’autore stesso sembra volersi avvicinare con prudenza e un certo timore reverenziale, lasciando ampio spazio al descrittivo e al paesaggistico, che fanno pensare a un set fotografico immerso nei bagliori di una luna malata e consapevole di ciò che sta per accadere.
IR: È una calda notte primaverile quella in cui Clara, nuda e insanguinata, si lascia morire nel centro di una strada statale di Bari. Sente sopraggiungere il camion ma non si scosta, muore straziata nel corpo e nell'anima, sola e disperata: «Avanzava per i campi sotto i raggi della luna. Lo sguardo assente... un passo dietro l'altro, ferendosi quando i piedi schiacciavano rami e sassi aguzzi». Così inizia il romanzo La ferocia di Nicola Lagioia. Un libro che fin dall'attacco mostra gli istinti bestiali dell'uomo, la sua "ferocia" appunto.
La struttura
PM: La ferocia è costruita come un puzzle che sta al lettore comporre, cercando di sottrarre i pezzi ai vari personaggi che lo scrittore ci permette di osservare ponendosi sulle loro spalle attraverso una terza persona onnisciente. I pezzi sono, però, molti di più di quelli che servono al lettore per capire perché e a cosa è servita la morte di Clara, dimostrando che il fine ultimo della ricerca è ben altro che scoprire chi è il più feroce.
IR: Sì, ciò che mi ha colpito di più in questo romanzo è la sua complessità e ricercatezza a livello di struttura, in cui si trovano facilmente tracce dell'influenza di grandi scrittori classici, da Mann a Faulkner. Anche per questo la critica ha parlato del "noir" di Lagioia come di un espediente che gli ha consentito di affrontare il decisivo e classico rapporto tra il potere e l'amore.
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Personaggi
PM: Clara e Michele (entrambi figli di Vittorio Salvemini, ma solo Clara anche della moglie di Vittorio, Annamaria) sono personaggi di cui non potremo scordarci facilmente. E se in Michele sarà facile “entrare” perché in lui il lettore troverà una sorta di contrappasso per le azioni dei Salvemini, a cominciare dal suo tentativo di bruciare la villa in cui vivono, tentativo che nemmeno il pater familias Vittorio riuscirà a condannare come avrebbe voluto, quasi presentisse il male ulteriore che da quel luogo si sarebbe sparso sulla città, Clara sarà forse il personaggio cui il lettore si affezionerà di più. Con i suoi silenzi, il suo autocontrollo oltre ogni misura (e dubbio) e il suo scorrere ai bordi della storia come una delle falene descritte con tanta meticolosità dall’autore, sarà lei a infliggere il colpo più duro all’immagine cui, più di ogni altra cosa, sembrano tenere i Salvemini.
IR: Clara e Michele sono personaggi importanti, ma non sono gli unici a meritare una nota. Dal capofamiglia al primogenito Ruggiero, da Annamaria a Gioia (rispettivamente moglie e figlia di Vittorio Salvemini), dal geometra Di Palo al sottosegretario Buffante fino a Orazio Basile, che investe e uccide Clara. Tutti mirabilmente descritti e circoscritti in una Bari "feroce" come i personaggi che vi abitano. Certo, Clara e Michele, i due fratellastri uniti da un amore «terribile e devastante», portano sulle loro spalle tutto il dolore del mondo, senza riuscire mai a sentirsi in sintonia con la loro famiglia e chi li circonda. Protagonisti straordinari e inusuali della storia sono anche la natura e gli animali, che fanno da sfondo accurato ed essenziale alla vicenda.
Stile
PM: La scrittura di Nicola Lagioia è attenta e misurata, come se si fosse preparato per anni a questa prova. È davvero difficile trovare una sbavatura fonemica o un aggettivo su cui l’autore non sembri aver riflettuto e con cesello lavorato per mesi. Solo la descrizione degli insetti e degli animali che popolano le notti dei Salvemini, meriterebbero un encomio, almeno dal punto di vista scientifico. A volte, però, tale attenzione per la descrizione dell’humus animale in cui i Salvemini si muovono risulta talmente accurata da penalizzare il ritmo della narrazione, andando a sovrapporre in maniera pericolosa, almeno per il lettore, lo stile di un noir a quello di un romanzo psicologico in cui l’azione fisica viene messa da parte pur di lasciare ampio sfogo a quella mentale.
IR: Concordo sull’uso di una tecnica elegante e ricercata. Questo è evidente anche nella descrizione dei paesaggi lugubri e inquietanti, dei giardini notturni, così come di determinati animali. Penso, soprattutto, alla gatta di Michele, ai topi, alle falene, riferimenti specifici che denotano uno studio propedeutico dell'etologia, davvero accurato, anche se non credo che questo vada a rallentare il ritmo della storia. Lo stile è essenziale, diretto e impietoso. L'io narrante si muove con mosse astute, capaci di tener desta l'attenzione del lettore, inserendo sempre nuovi spunti narrativi che solo alla fine troveranno uno sbocco in parte prevedibile, ma non per questo meno suggestivo.
La conclusione
PM: La ferocia riprende molte delle pecche italiche di questo inizio di secolo: l’omertà, l’immagine di ricchezza e potere che si vuole irradiare a tutti i costi (che poi sia concreta conta ben poco), il senso di inferiorità rispetto a chi ha un’immagine migliore della propria, la prevaricazione come forma d’arte. La ferocia che permea il romanzo si nutre di queste pozze di malcostume, muovendo i personaggi a suo piacimento, nel tentativo di distogliere l’attenzione del lettore da sé stessa. Non cadiamo in questo tranello.
IR: Lagioia ha il merito di averci descritto con oggettività, che gli è stata rimproverata, la Puglia e le situazioni "mafiose" che hanno interessato questa regione. L'intreccio della politica con il denaro e le attività di Bari, ci riportano alla memoria il film di Rosi Le mani sulla città o la denuncia di Saviano in Gomorra, perché anche Lagioia identifica la "ferocia" di certi personaggi con il modo di pensare e di agire del nostro Paese. Infatti la commistione tra politica e potere, sesso e denaro, i meccanismi della finanza e del mercato, tutti strettamente legati tra di loro, appaiono straordinariamente evidenti nella nostra epoca e nel nostro mondo. Lagioia si limita semplicemente a fotografarli, rappresentando in maniera cruda ma reale la sua città e la sua regione. Alla fine di questo romanzo così impietoso e inquietante ci chiediamo: c'è speranza per il futuro? Forse solo nella corsa dei bambini (figli dei nuovi abitanti della villa che un tempo fu dei Salvemini), in quella corsa felice e innocente, Nicola Lagioia instilla, nella sua ferocia, un filo di speranza.
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