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Salve, sono il Signore Oscuro

[Quarta puntata della Rubrica Nella pancia del drago]

Nella pancia del drago, Fantasy, Signore OscuroIl fantasy è spesso epica. Per essere epico deve includere la primordiale lotta tra il bene e il male. E ovviamente il male è vestito di nero, ed è CATTIVO! CATTIVISSIMO!!!

Rileggendo lo spoiler di questa puntata, la pancia del drago brontola con particolare veemenza. Sì, il male è vestito di nero ed è cattivo-cattivissimo, ebbene? Qualche problema? Come il lettore ormai avrà notato, questa rubrica sembra scimmiottare gli espedienti del fantasy-facile per ritrovarsi il più delle volte a sostenere che, se in un genere letterario certi elementi sono ricorrenti, ci sarà pure un motivo, e questo non si risolve sempre nella scarsa pasta dell’autore (altrimenti si rischierebbe, non sia mai, di fare critica-facile). Posticipando alla prossima puntata la riflessione sulla sottile differenza e pericolosa parentela tra la parola più in voga dei critici del fantasy – cliché – e ciò che è un tòpos letterario, vediamo oggi di affrontare a spada tratta uno degli argomenti che più scatenano il dibattito: Forze del Bene Vs Forze del Male. Round One. Ready. Fight!

Nelle scorse puntate, abbiamo già avuto modo di evidenziare il rapporto tra il fantasy come genere letterario moderno e la mitologia, intesa non come il patrimonio di una singola cultura o tradizione, ma come le istanze archetipali del mito in sé, la poiesi del mito propria dell’animale narratore homo sapiens sapiens. Il fantasy si basa chiaramente su una certa forma di mito, l’epopea epica, che ha come miglior precursore, dopo la mitologia assiro-babilonese, in quella greco-romana.

Riguardo all’antica Grecia, le tappe fondamentali della costruzione letteraria del mito sono state riassunte in altrettante età dell’uomo: oro, argento, bronzo e ferro (identificate con le quattro stagioni).

  1. Età dell’oro (primavera): il “romanzo”, dove l’eroe parte all’avventura, uccide i cattivi e salva i buoni.
  2. Età dell’argento (estate): la commedia, dove l’eroe torna a casa e la storia d’amore con la bella è ostacolata da arcigni genitori, parenti e censori veri, ma dopo qualche inseguimento e un duello i due si sposano.
  3. Età del bronzo (autunno): la tragedia, dove l’eroe/ina assiste inerme all’inevitabile sgretolarsi di ciò che ha costruito, morendo di tristezza in esilio.
  4. Età del ferro (inverno): l’“ironia”, dove un gruppo di amici, un cantore e qualche vecchio nella vita di tutti i giorni si siedono attorno a un fuoco e raccontano storie (Frye, Anatomy of Criticism; Atwood, In Other Worlds).

Come gli stessi Frye e Atwood sottolineano, stranamente, ciò che nell’età del ferro si racconta attorno al fuoco è il più delle volte un racconto “primaverile” di eroi, con avventure epiche, buoni e cattivi.

Il fantasy moderno, tramite l’evoluzione del medium letterario nei secoli, ha letteralmente stilizzato quest’ultimo pattern narrativo. È il caso di stressare qualche altra definizione per sottolineare che, se un genere letterario funziona, questo è perché il suo motore narratologico è ben suddiviso in parti oliate che fanno ognuna il proprio dovere: Plot Devices.  La critica riconosce quelli che furono dei termini introdotti in parte già dallo stesso Tolkien, ripresi dalla Encyclopedia of Fantasy (Clute, Grant, 1997). Il romanzo fantasy, ambientato in un Secondary World totale o parziale, in primis, è soggetto a thinning: un declino dell’ordine rispetto a uno stato di equilibrio precedente, una rottura causata dall’azione corruttrice di un agente esterno. Ciò dà vita a un senso di wrongness, che spinge a una redenzione e riequilibrio tramite la quest, portata avanti dal protagonista/eroe. La quest è sempre un passaggio da una realtà conosciuta a una sconosciuta, in cui il protagonista esplora la vastità dello spazio conoscibile che così si impone come un personaggio in sé (Cook’s Tour; sull’importanza delle mappe si veda la puntata precedente); nel protagonista si verifica, così, una recognition, una presa di coscienza delle sue qualità, del suo ruolo nel mondo e del suo peso nella risoluzione finale della crisi (eucatastrophe).

Concesso: il modo in cui la critica viviseziona il nostro genere preferito è di una tristezza indicibile (lancia il tomo accademico nella melma intestinale). Quali che siano, però, le sfumature del genere e dei suoi sottogeneri, un nodo rimane cardine della narrazione: il thinning (che altro non è che un’apocalisse in senso letterale). Chi o cosa è l’agente esterno che porta alla rottura dell’ordine precedente? Bingo: the Dark Lord, MHUHAHAHA.

La critica fantasy amatoriale con ambizioni pseudo-professioniste e la critica professionista con pericolose vene amatoriali da sempre martellano gli alluci sulla banalità della figura del Signore Oscuro. Per cercare di banalizzare a fin di bene lo sdegno critico, basterebbe forse analizzare quali sono i problemi logistici che una storia deve superare in modo da mettere in scena il thinning con coerenza.

Nella pancia del drago, Fantasy, Signore OscuroOgni narrazione efficace deve fare perno sul senso morale del lettore. Quest’ultimo deve essere preso alla gola nel suo sentirsi uomo (nel senso di animale politico aristotelico). Il ruolo dei buoni non è altro che quello di avatar della morale del lettore stesso, coerentemente calata in quella del mondo secondario. Il ruolo dei cattivi è quello di impersonare le istanze che la minano (workout magistrale è quando la morale “cattiva” è coerentemente calata in quelli che nel Secondary World, invece, passano per buoni). Ciò che potrebbe, però, sembrare mera architettura degli antagonisti di un romanzo è, invece, un nodo filosofico fondamentale. Il Signore Oscuro non è altro che l’impersonificazione del male. Il cosiddetto fantasy “classico” (Tolkien, Lewis, lo stesso Robert Jordan), a cui si riconduce l’uso di questa figura, mette in scena una concezione del bene e del male come due realtà ontologiche immanenti. Come nella maggior parte delle religioni monoteiste, il bene e il male sono, sussistono come concetti cosmici al di là degli interessi individuali, agiscono senza bisogno di giustificazioni e al di là della logica.

Si potrebbe dire che ciò che è successo nell’arco del Novecento alle istanze della filosofia morale, spazzate via dai traguardi dell’esistenzialismo, è capitato di riflesso alla narrativa fantasy (che, evadendo la realtà, la vuole mostrare allo specchio). Perché il Signore Oscuro è considerato oggi desueto? Il fantasy contemporaneo, che incontra il gusto contemporaneo, non mostra buoni e cattivi a priori: come nei Sette Regni di George Martin, o nella Camorr di Scott Lynch, ci sono soltanto individui, ognuno con le proprie paure e i propri desideri, che venendosi a scontrare nel gioco della vita fanno sì che tutti siano buoni e cattivi allo stesso tempo.

Già, gli Dei sono morti. Eppure, anche la filosofia è andata avanti, e nella narrazione pare che il serpente possa mordersi la coda. Come il Terramare della LeGuin insegna, anche se il thinning si verifica a causa del persistere di interessi individuali non mossi da alcuna maligna forza cosmica, il risultato è comunque un collasso dell’equilibrio. Da qui, fare il passo di nuovo verso l’origine è inevitabile: il sommarsi degli individualismi a discapito di un’armonia sistemica è deleterio: è male. Se questa categoria, pur frutto dell’operato individuale umano, è riconosciuta, noi esseri narratori non possiamo che mitizzarla nuovamente, e creare un avatar: il Signore Oscuro di turno, MHUHAHAHA.

Come la storia delle idee e il caleidoscopio delle morali dei popoli dell’umanità, anche il gusto letterario è fatto di corsi e ricorsi. Chi si elegge censore del gusto dovrebbe essere sempre consapevole di non poter recensire un fiume come se fosse uno stagno. Alla prossima puntata. MUHAHAHAH…


Ci ritroviamo on line il 03/07/2013 con la puntata n. 5 della Rubrica Nella pancia del drago: Eroi, Demoni e Dee.

E non necessariamente in quest’ordine. Fantasy: psicoanalisi degli archetipi in ottomila battute (con doppio spazio).

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