“Rosso Parigi”, la storia della musa di Édouard Manet
Rosso Parigi, romanzo di Maureen Gibbon che Einaudi porta in Italia con la traduzione di Giulia Boringhieri, è la storia di Victorine Meurent, pittrice e musa ispiratrice di Édouard Manet. Più di duecento pagine raccontate in prima persona dalla protagonista. Una voce che rompe il flusso della realtà per trasformarla e mescolarla coi colori che la mente le suggerisce. L’occhio che guarda si sovrappone ai paesaggi, alle facce e ai corpi. Non esistono luoghi o persone, ma solo le percezioni veloci di Victorine.
«Ho diciassette anni, quel giorno, e ai piedi gli stivaletti di una puttana. Ho gli stivaletti di una puttana e sono davanti alla vetrina di un negozio insieme a Denise».
Parigi 1862. Édouard Manet corteggia tutte e due: la rossa Victorine e la bruna Denise. Definisce anche i ruoli. La prima è l’amante che lo avrebbe sfiancato, la seconda è quella che lo avrebbe rigenerato. Piccole mogli con le mani piene di calli. Victorine e Denise sono brunitrici d’argento. Il loro è un lavoro pesante e ripetitivo che le consuma, ma non le esaurisce. Così finito il turno, fanno le pittrici un po’ per passione e un po’ per farsi notare. Condividono anche la stessa stanza perché l’una è la famiglia dell’altra. Sono amiche sorelle unite da un rapporto lineare senza litigi. Ma la rossa è più passionale della bruna e alla fine riesce ad attirare su di sé tutte le attenzioni di Manet.
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Victorine, meglio dire Vic’trine per renderlo meno elegante, vuole una relazione esclusiva con l’uomo e lo conquista non senza lo scrupolo di aver ferito la sua amata Denise. Un pensiero che la logora, ma che non riesce ad abbattere l’ambizione di scoprire un ambiente diverso da quello che frequenta. Lo studio di Édouard e i cafè, dove gli artisti si incontrano, sono ora luoghi in cui si muove come se fossero la sua casa. Victorine è ammirata per i suoi capelli rossi e per la sua spontaneità, tanto da essere richiesta per un altro lavoro. Lei intanto osserva i particolari delle opere di Édouard, li studia e li ricorda meglio di lui. Il suo occhio si allena e scopre le differenze. Se l’oggetto è soltanto materia da formare, Victorine diventa lei stessa occhio e si “auto-forma”. Manet dipinge il suo sguardo e insieme tutto quello che la ragazza porta dentro:
«Quando vedo il quadro […] capisco che ogni mio pensiero è finito dentro i miei occhi. […] è tutto nella pittura. È tutto nell’espressione del mio viso».
Questa consapevolezza la rende sicura e le permette di guardare diritto davanti a sé mentre con la mano si sfiora il pube. Sceglie il cambiamento con uno sguardo fiero che sfiderà il pubblico.
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«Mi espando. Occupo diversamente lo spazio, sento diversamente l’aria dello studio. Provo a riempire la stanza. E se mi riesce, mi trasformo. Non sono più solo la persona che vedo nei suoi occhi. Sono più audace, più esperta».
Audace non solo come modella di Édouard, ma anche come sua amante disposta a sperimentare il piacere che nasce dal dolore. Va contro la paura della sifilide e invece di temere la cicatrice del suo pittore, la tocca e la stringe.
In questo si ritrovano Édouard e Victorine, nel desiderio di essere diversi, di dare sfogo a una fantasia che respinge il vecchio. Le tele riempite dai miti classici sono ora lo spazio delle prostitute, di ragazzi comuni, di qualsiasi cosa si faccia notare. La loro storia si sviluppa insieme al pensiero di Manet che elabora un modo suo di fare arte. Victorine assiste a questa rivoluzione offrendo la propria verità. «Io dipingo solo cose vere», dice Édouard a un amico. I corpi abbandonano una falsa sacralità e si riprendono il diritto di essere imperfetti. Sono come l’occhio li vede. Anche perché «quando la bellezza è accompagnata da un piccolo difetto diventa più interessante».
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Rosso Parigi di Maureen Gibbon è il bianco della pelle di Victorine, il rosso dei suoi capelli, il verde grigio dei suoi occhi, e quello smeraldo dei suoi stivaletti. Colori scritti che raccontano l’unione tra Manet e la sua musa.
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