“Room”, il film che racconta che cosa c’è dentro e fuori da una stanza
Ha trionfato al Toronto Film Festival vincendo il Grolsch People’s Choice Award, è stato applaudito alla Festa del Cinema di Roma 2015, è stato candidato a quattro premi Oscar (film, regia, attrice, sceneggiatura non originale) e si è aggiuticato quello a Brie Larson come migliore attrive protagonista: Room, l’ultimo lavoro di Lenny Abrahamson, esce finalmente nelle sale italiane (giovedì 3 marzo). Dopo aver diretto Michael Fassbender in Frank, dove dell’attore non si vede mai il viso, il regista irlandese firma una pellicola che, fra le altre cose, insiste sulle geografie dei volti dei personaggi e sulle loro possibilità narrative.
Room porta sullo schermo il romanzo Stanza, letto, armadio, specchio (Mondadori), della dublinese Emma Donoghue, che racconta di una madre (Ma’) e di suo figlio (Jack), segregati dentro una stanza da Old Nick, l’uomo che sette anni prima ha rapito la donna. Il bambino è nato lì dentro e ha cinque anni. Non sa nulla di quello che c’è fuori, conosce solo una porzione di cielo (quella che il lucernaio ritaglia per loro) e pensa che la televisione sia un mondo a parte. Quando di sera Old Nick viene a trovare Ma’, Jack viene nascosto nell’armadio dove c’è un piccolo giaciglio.
La donna ha fatto di tutto per rendere la vita di Jack in qualche modo sostenibile (Jack corre, legge, disegna, cucina una torta per il suo compleanno, sogna di avere un cane, gioca con un topolino, guarda Dora alla televisione e chiama per nome tutti gli oggetti della stanza). Ma’ ha composto per lui una narrazione continua, definendo ogni giorno, con le parole, un universo possibile per il suo bambino. Fino a che, un giorno, la stanza diventa davvero troppo stretta e non rimane che un tentativo disperato di fuga.
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Da questa vicenda, Lenny Abrahamson riesce nella difficile impresa di ricavare un film misurato, sottile, pieno di spunti di riflessione e di intuizioni estetiche. L’opera è divisa in due atti, entrambi scritti e girati con sapienza e misura.
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La drammaturgia si svolge a più livelli. Ci sono le parole della sceneggiatura, ben orchestrata (la scrittrice Emma Donoghue ha collaborato alla stesura, rendendo più duttile la lingua corposa e artefatta del romanzo). Ci sono le interpretazioni degli attori (Brie Larson e Jacob Tremblay su tutti, lui letteralmente straordinario). Poi ci sono gli spazi. Quelli nominati dalle parole, e quelli percorsi dai corpi. La stanza è più grande di come appare. Tutto significa qualcosa. È un film di dettagli: lo spigolo del lavandino, una superficie liscia oppure consumata, lo spazio dentro a un armadio. Questa insistenza sui particolari torna anche nella parte del film che si svolge fuori dalla stanza, a suggerire che di piccoli scorci, di frammenti si compone il mondo di ciascuno di noi.
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In Room domina l’universo della visione, ma il film possiede anche una qualità sonora. C’è la musica commuovente del compositore Stephen Rennicks, e c’è la voce del giovane protagonista. Attraverso la voce, il suo mondo si struttura: è largo solo pochi metri, eppure, come dice lo stesso Jack, non ha confini. Vedere in lingua originale questo film di Lenny Abrahamson dà modo di sintonizzarsi sulla cantilena dei dialoghi madre figlio e sulle inflessioni del giovane attore, che sono una parte molto importante del film.
La bellezza formale di Room non si esaurisce in un esercizio di stile, e il senso di speranza che infonde non è posticcio. Riesce invece in quella possibilità recondita e sempre aperta dell’arte di produrre un effetto catartico.
Lenny Abrahamson racconta di come l’uomo sia abitudinario, di come abbia necessità di routine emotive che lo guidino, di come queste abitudini formino il suo cervello. E di come il significato della parola libertà sia precario, costantemente aperto a una contrattazione antropologica.
«Ogni cosa ha due lati», dice a un certo punto Ma’ a Jack, quando decide di spiegargli che cosa ci sia oltre le pareti della loro stanza. Questa frase rimane come un viatico, e può far da guida alla seconda parte, quella della liberazione – che non è mai consolatoria, ma registra tutte le ambiguità del ritorno a casa delle vittime. I doppifondi dei rapporti umani.
Room di Lenny Abahamson è un film di speranza e tratta delle grandi possibilità dell’intelletto umano di costruire un orizzonte di senso, ma d’altra parte è anche in grado di additare gli aspetti più contraddittori delle nostre relazioni e di sottolineare il valore abissale degli spazi in cui viviamo le nostre vite, un po’ dentro e un po’ fuori. Poiché ogni cosa, sembra dirci, ha almeno due lati.
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