Robot al posto dei lavoratori

Esistono robot che ci dicono se emaniamo cattivo odore, altri che vengono “utilizzati" per spettacoli teatrali e recitano fianco a fianco con attori in carne e ossa, altri ancora che dispensano interviste in giro, come Blabdroid.

Ci sono poi piccoli automi al centro di esperimenti sull’empatia, con ricerche a livello universitario, e dispositivi protagonisti di nuove strategie educative e pedagogiche. È pacifico dunque, che l’automazione, in senso ampio, sia ormai a tutti gli effetti una realtà, presente e viva, e in grande espansione. Cosa succede, però, se da qualche parte, per fronteggiare il forte aumento del costo del lavoro e, nello stesso momento, la flessione, dal punto di vista numerico, dei lavoratori, si prende la decisione di sostituire gli umani con i robot.

È quello che, fatte alcune dovute distinzioni, sta accadendo nella provincia cinese dello Zhejiang. Saranno infatti investiti ben ottantadue milioni di dollari per fornire un sostegno a cinquemila aziende ogni anno, per cinque anni, allo scopo di “sostituire” gli umani con le macchine.

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Com’era prevedibile, i produttori di robot si sono affrettati a precisare che l’utilizzo di robot al posto di lavoratori umani non significherà necessariamente tagliare posti di lavoro, ma potrà, al contrario, essere un’opportunità per una “re-distribuzione” delle mansioni. E non c’è da stupirsi, se proprio dalla Cina arrivano numerose aziende che stanno concentrando i loro sforzi proprio sulla robotica, nella doppia accezione dell’utilizzo industriale e di quello privato.

Possiamo ancora fantasticare, come in tanti romanzi di fantascienza, su un “rise of the machines”?