Risonanza dell'amore. “Settembre 1972” di Imre Oravecz
In principio era
il tu, era il là, era l’allora, era il cielo azzurro, era il sole, era la primavera, era il caldo, era prato, era il fiore, era l'albero, era l'erba, era l'uccellino, era la forza, era il coraggio, era la risolutezza, era la leggerezza, era la fiducia, era l'altruismo, era la ricchezza, era la gioia, era la serenità, era il riso, era il canto, era il parlare, era la preghiera, era la lode, era la stima, era l'affiatamento, era la dolcezza, era la lindura, era la bellezza, era l'affermazione, era la fede, era la speranza, era l'amore, era il futuro, poi il tu è divenuto lei, il là qua, l'allora l'adesso, il cielo azzurro fumo nero, il sole pioggia, la primavera inverno, il caldo freddo, il prato acquitrino, il fiore sterpo, l'albero cenere, l'erba fieno, l'uccellino preda, la forza fragilità, il coraggio codardia, la risolutezza indecisione, la leggerezza pesantezza, la fiducia sospetto, l'altruismo egoismo, la ricchezza povertà, la gioia dolore, la serenità inquietudine, il riso pianto, il canto strepito, il parlare balbettio, la preghiera bestemmia, la lode maledizione, la stima disprezzo l'affiatamento discordia, la dolcezza amarezza, la lindura sporcizia, la bellezza bruttezza, l'affermazione negazione, la fede dubbio, la speranza disperazione, l'amore odio, il futuro è divenuto passato e tutto ricominciava da capo.
Il ritorno nelle librerie di Settembre 1972 di Imre Oravecz è una bella notizia. Le Edizioni Anfora avevano già pubblicato questo romanzo in versi nel 2004. Dopodiché la casa editrice si è rinnovata, ha cambiato anche veste grafica, e ora sta ripubblicando le opere più interessanti del vecchio catalogo. Questo nuovo catalogo tutto ungherese di Anfora è una vera e propria consolazione in questi tempi cupi per l'Ungheria – associare il nome del Paese al suo regime politico è pressoché inevitabile –, ed è finalmente qualcosa di cui un'ungherese di nascita come me può andare orgogliosa in Italia.
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Settembre 1972 è uno dei capolavori della poesia ungherese moderna, la copertina di Andrea Kiss e il progetto grafico di Csaba Heltai rendono il volume un oggetto d'arte, la prefazione dell'autore alla terza edizione ungherese lo arricchisce e ne spiega la genesi, e la traduzione di Vera Gheno è davvero lodevole.
In patria Imre Oravecz (nato il 1943) è considerato il Ferlinghetti ungherese, un autentico innovatore della poesia contemporanea. Uno dei massimi esponenti della letteratura magiara, Oravecz è anche autore di romanzi, è stato redattore, traduttore e professore universitario. Nonostante una feconda produzione successiva, la sua opera più memorabile e più amata rimane Settembre 1972, composta nel 1988.
Si tratta di un romanzo in versi suddivisi in novantanove episodi, sui tormenti di un amore, che però racchiude in sé tante storie d'amore. La trama inizia nel settembre del 1972, da qui è il titolo del poema, quando il grande amore che in realtà unisce più esperienze, e non necessariamente solo dell'autore, è finito, la coppia si è già separata.
Oravecz getta luce sia nella sua prefazione che in un'intervista da lui rilasciata nel 2011 a László Bedecs sulle circostanze della nascita e sulla scelta curiosa del genere letterario. Citiamo da questa seconda:
«All'inizio degli anni Ottanta la crisi del mio terzo matrimonio, la causa legale per la custodia del bambino mi hanno buttato molto giù. Pensavo che in confronto la letteratura fosse solo un gioco, con finalità prive di interesse e significato. Credevo, e non era per la prima volta, che avrei smesso di scrivere. Alla fine il bambino è rimasto con me, l'ho tirato su io, a volte lottando, ma sempre con gioia. La delusione, però, non mi passava e vedevo inoltre che un bambino non può uscire bene da un divorzio. Questa crisi sentimentale e morale ha riaperto le ferite anche dei precedenti divorzi e ha messo in evidenza le umiliazioni mai elaborate. Ho cominciato a scrivere, come fosse un diario, i pezzi di Settembre 1972, inizialmente solo per me, come fosse una terapia. Volevo capire la situazione in cui mi trovavo, e quello che ci era successo. Dapprima mi interessava solo un momento, quello in cui nessuno riesce a immedesimarsi finché non ci si trova, e dopo non riesce a capacitarsi che sia potuto capitare davvero a lui. Sto parlando di una scena che mi torna in mente spesso, quella in cui l'ho trovata dove l'ho trovata, con qualcuno, e la situazione non lasciava spazio a fraintendimenti...»
Poi Oravecz parla della forma:
«...in questa unità mediamente di venticinque righe e consistente di una unica frase seppure più volte composta, ho trovato uno strumento, che grazie alla sua flessibilità strutturale e alla sua apertura linguistica ha aperto orizzonti infiniti. In questo tipo di testo potevano trovare posto tutti gli elementi stilistici, dai termini tecnici alle volgarità, dalle locuzioni pseudoscientifiche allo slang. Quindi ha resuscitato in me lo scrittore che stava per essere annientato dalla slavina sentimentale. Da quel momento in poi ho lavorato scientemente sul libro, che anche oggi considero un romanzo, pur sapendo che la critica ne discute volentieri il genere: se è poesia, poesia in prosa, o semplicemente prosa. Secondo me sono poesie che compongono un romanzo, così come lo è l'Iliade...»
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A oltre trent'anni dalla prima edizione, in Ungheria Settembre 1972 rimane uno dei libri più letti e più apprezzati. Auguro buona fortuna alla sua edizione italiana.
Per la prima foto, copyright: mari lezhava su Unsplash.
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