Rinchiudersi nella propria solitudine. “Tremante” di Massimiliano Città
Puntata n. 67 della rubrica La bellezza nascosta
«La maggior parte di queste giunge con fiori da deporre lungo la strada, altre lasciano bigliettini sul cancello arrugginito del residence, altri ancora provano a salire su, ma le autorità non hanno ancora tolto i sigilli all’abitazione e dunque i visitatori rimangono lungo le rampe delle scale per poi ridiscendere con maggiore mestizia. Un uomo che ci sembra essere vecchio di mille anni procede lentamente sulle sue gambe, gli occhi arrossati, infossati nell’incavo della sua testa quasi rasente lo scheletro, cammina lentamente e lentamente piange. Si tiene al braccio di una giovane ragazza, dai capelli castani e la figura slanciata, indossa occhiali scuri per nascondere presumibilmente le lacrime.»
La solitudine, prima di essere un luogo fisico, è uno stato mentale. È una casa in cui ci si ritrova ad abitare e non forzatamente per nostra decisione. Ma la scelta della solitudine, delle luci spente, di una terra logora di zone d’ombra, è un gesto forte e molto spesso decisivo. Quando si sceglie di vivere nel silenzio dei propri pensieri e non si lascia entrare nessun elemento esterno che potrebbe portare scompiglio, si percepisce il proprio corpo come fosse un regno, e ogni lembo di pelle, ogni organo, ogni osso, diventa un posto geografico, e ci si ritrova a mappare il proprio corpo come fosse un universo.
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Massimiliano Città è nato a Cefalù nel 1977, il suo romanzo Tremante è stato pubblicato dalla casa editrice Castelvecchi.

Siamo in una provincia italiana, qui viene trovato il cadavere di Tommaso Tremante, musicista di grande talento. Un giornalista viene incaricato di scoprire cosa si celi dietro quella morte. Inizia così a raccogliere le testimonianze e i ricordi di chi lo ha incontrato, chi l’ha conosciuto e chi l’ha solo sfiorato. Ne viene fuori la figura di un uomo ai margini dell’esistenza, chiuso in una forte scelta di solitudine.

Tremante è un romanzo particolare, troviamo, all’interno del libro, diversi registri narrativi, e così si passa dagli articoli di giornale, ai flussi di coscienza, ai ricordi degli amici, alle canzoni, che lo stesso Tommaso Tremante, scriveva.
«Non è colpa tua, né di nessuno, sei fatto così. Ogni qualvolta davanti a te si presenta un’occasione di stabilità, qualcosa che abbia un seguito, l’indomani, con le stesse regole, lo stesso schema, tu rifuggi. Amor mio, niente da farci. Stanno così le cose. Non è per il lavoro che hai rifiutato la settimana scorsa, non ne faccio una questione materiale, lo sai bene, del mio potevamo vivere bene, insieme. Il fatto è che non riuscivo più a sopportarti in quello stato, inquieto, irresoluto, inconcludente. Hai paura di finire, di concludere le cose che intraprendi!»
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Ma non c’è solo un impianto narrativo originale, nel romanzo di Massimiliano Città c’è una bella scrittura, curata, decisa e soprattutto una storia che porta curiosità e che spinge a immergersi tra le pagine per cercare di scoprire, insieme al cronista, che vita ha fatto e che morte ha avuto Tommaso Tremante, quali amori ha incontrato e che canzoni gli sono appartenute.
«E fu a lei e ai suoi sorrisetti languidi che mi rivolsi per ritrovarmi proprietario, seppur precario, di una branda nella quale lasciarmi andare senza dovermi preoccupare dei mugolii circostanti. Silvia, che tradiva radici agrigentine, mi diede ristoro, calore e accoglienza. Nonostante la maggior parte delle notti ritornassi a casa spossato, lei sapeva tirar fuori da me le ultime residue energie che egoisticamente si concedeva. Tutto girava in maniera bizzarra. Come ogni volta che mi capitava d’esibirmi in pubblico e la cosa mi rendeva nervoso, non trovavo granché quel mio modo di fare, era un’idea che mi portavo appresso da anni. La mia musica per me, e nient’altro.»
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Se la nostra vita fosse raccontata dagli altri che storia sarebbe? Quello che percepiamo è esclusivamente soggettivo, come è soggettivo quello che un amico, una fidanzata o un genitore, possano pensare di noi. Perché la vita ha sempre abitato tra una visione del mondo e l’altra, senza mai riuscire a trovare la terra di mezzo dell’oggettività. E Tommaso Tremante, che suonava e cantava la sua tristezza e il suo senso di estraneità al mondo, che storia sarebbe stata se a parlarcene fosse stato proprio lui?
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