Rimbaud e quel suo soggiorno a Milano insieme a una vedova
Arthur Rimbaud e un suo possibile soggiorno a Milano sono al centro del libro Rimbaud e la vedova di Edgardo Franzosini, pubblicato da Skira editore. Il saggio cerca di fare luce su alcune settimane che il poeta francese avrebbe passato nella città della Madonnina, nel 1875. L’autore compie una vera e propria indagine passando in rassegna la vita del poeta per scoprire non solo se effettivamente Rimbaud soggiornò a Milano. No, la ricerca viene compiuta anche per tentare di capire chi fu colei che ospitò quel giovanotto amante della scrittura in versi e dal carattere altamente irascibile.
A quanto emerge dalla ricostruzione di Franzosini, Rimbaud al momento del suo viaggio in Italia aveva da poco preso la decisione di rinunciare per sempre a scrivere poesie. A confermare questo nella ricostruzione della biografia del poeta francese ci sono alcuni lavori che lo avrebbero tenuto ben distante dal comporre versi. Durante la lettura si scopre che Arthur Rimbaud fu soldato mercenario per l’Esercito Coloniale delle Indie Olandesi. In realtà, però, non si fece mancare nulla, perché il verseggiatore “spoetato” fece l’inserviente in un circo, il guardiano di una cava, il commerciante di avorio e di caffè, fino a diventare un mercante d’armi in Abissinia. Il viaggio e lo spostarsi da un luogo all’altro erano per Rimbaud fondamentali.
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Come emerge dalla lettura del saggio di Franzosini, grazie alle testimonianze del tempo recuperate dall’autore si scopre come Rimbaud fosse sì nato a Charleville, ma in lui aleggiava un costante e continuo bisogno di viaggiare, tanto è vero che il poeta passò per l’isola di Giava, facendo tappa a Copenaghen, a Cipro, ad Aden, ad Harar e anche a Stoccarda.
Proprio nella città tedesca il poeta maledetto si fece stampare dei biglietti da visita con il suo nome e cognome, ma senza luogo di residenza. Il motivo? Rimbaud lo aggiungeva a mano in base al luogo dove si trovava. Proprio questa sua abitudine sarebbe quella che lo portò, nel 1875, a mettere su uno dei suoi bistrot (biglietti da visita) l’indirizzo del suo soggiorno milanese: «39, Piazza del Duomo, terzo piano». Oggi di quel bigliettino non si sa più nulla, si sa però che il poeta arrivò in Italia, passando dalla Svizzera e lo fece a piedi, macinando chilometri su chilometri con i suoi scarponi numero 41.
Purtroppo non ci sono documenti concreti che ci raccontano la vita di Rimbaud durante le tre o quattro settimane di permanenza a Milano, ma di certo il francese dagli occhi blu forse frequentò la città. Vero è che oggi quel civico n. 39 in piazza Duomo non c’è più, quindi possiamo solo immaginare come fosse il palazzo dove Rimbaud soggiornò, e chi fosse quella vedova che lo ospitò durante la sua permanenza milanese.
A dare conferma del passaggio di Rimbaud a Milano ci sono alcuni scritti della sorella Isabelle al Petit Ardennais che cercò di porre chiarezza sul carattere, sull’agire e sul destino del fratello. Il tutto per zittire un po’ i tanti pettegolezzi attorno alla sua figura che lo descrivevano come scapestrato, irruente e poco affine alle buone maniere. A rinsaldare l’ipotesi della presenza a Milano del poeta furono anche le dichiarazioni di Ernest Delahaye, un suo amico e compagno di scuola a Charleville, ma quello che mancava ieri, come oggi, sono dettagli concreti e prove reali che certifichino non solo l’esserci di Rimbaud nella vita quotidiana milanese, ma anche l’esistenza della misteriosa e sconosciuta vedova che lo ospitò.
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Seguendo la ricostruzione di Franzosini sembra quasi di essere in un giallo, ma poi ci si rende conto che il saggio letterario si occupa di vita vera d’artista e allora si scorgono i nomi di tanti locali che animavano la Milano del 1875: il Caffè Reale, la Confetteria Baj, il Caffè del Duomo o “dei muti avventori”, perché coloro che lo frequentavano passavano ore e ore a leggere i giornali senza spiccicare parola. Chi lo sa se Rimbaud entrò in questi locali. Forse sì e allora, nel libro si pensa anche ai letterati e intellettuali italiani (gli Scapigliati, forse Verga, Vittoria Cima) presenti a Milano che il poeta francese forse potrebbe avere incontrato.
Altro dettaglio non trascurabile è il fatto che, grazie a una serie di fonti storiche, Franzosini evidenzia la passione viscerale di Rimbaud per la lettura, un vero e proprio topo da biblioteca, e non è detto che, durante la sua permanenza a Milano, l’artista della poesia magari non sia entrato nelle biblioteche cittadine di quel tempo. Tante sono le supposizioni attorno al soggiorno lombardo di Rimbaud e poche sono le certezze.
Più o meno sicuri sono invece gli amori che ebbero posto nella vita di Rimbaud. Leggendo il libro di Franzosini ci si imbatte in Jean-Luc Steinmetz che in Les Femmes de Rimbaudraccontò le donne del poeta dallo sguardo di ghiaccio e dalle mani grandi spesso afflitte dai geloni. Tre le donzelle del poeta ci sarebbe la misteriosa vedova milanese civile garbata e profondamente rispettosa, ex moglie di un venditore di liquori. Accanto a lei ci fu una tale Miriam, quando Rimbaud fu in Abissinia; poi Mia, una ragazza di origini fiamminghe, con un fisico da pin-up e le curve al punto giusto e anche il primo amore di Arthur: una ragazzina di Charleville con la quale Rimbaud ebbe un appuntamento così fugace da rimanerne sbigottito.
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Il libro edito da Skira è un interessante e avvincente saggio nel quale Franzosini segue, come se fosse un ispettore, il poeta. Anzi, in un certo senso l’autore pedina, nella Milano del 1875, Rimbaud per scoprire elementi in grado di confermare il suo soggiorno nella città della Madonnina e per dare forma concreta alla vedova che lo ospitò, perché di lei si parla, ma di certo non si sa nulla. Chiaro invece in Rimbaud e la vedova di Edgardo Franzosini è lo spirito umano irrequieto e in costante subbuglio di Arthur Rimbaud, che lo portava a vagare da un luogo all’altro alla ricerca di emozioni e sensazioni per trovare pace e libertà nel corpo e nell’anima.
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