Riflettendo su “La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza” di Vittorino Andreoli
La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza è l'ultimo libro dello psichiatra Vittorino Andreoli, edito da Rizzoli. La lettura è piacevole e scorrevole anche se richiede particolare attenzione per il connubio tra psichiatria e filosofia, tra metodo scientifico e approccio teoretico.
Sembra che in questi ultimi anni i sintomi delle patologie psichiatriche si siano ridotti mentre il numero dei soggetti sofferenti sia cresciuto. La gente è sempre di più dominata dall'incertezza, dalla paura, dalla tristezza profonda, dal disagio di guardare al proprio futuro. Non hanno sofferenze psichiatriche, ma la loro pesantezza di vivere è comunque alla lunga invalidante.
“La gioia di vivere” è la risposta a questo tipo di sofferenza. È un lavoro utile, uno strumento efficace che indica al lettore-“paziente” il cammino verso una rinnovata consapevolezza, un'autonomia di pensiero e addirittura una trasformazione della propria visione del mondo o Weltanschauung.
L'osmosi o il passaggio completo da una visione del mondo all'altra più leggera e positiva è la cura per questa moderna fatica di vivere.
Per tracciare la strada che porta verso la guarigione e quindi verso la saggezza, lo psichiatra veronese fa riferimento a molti pensatori e filosofi, da Seneca a Epicuro, da Tommaso Moro a Kant, da Schopenhauer a Marcel Mauss, però sono le opere psichiatrico-filosofiche di Karl Jaspers i pilastri su cui poggia tutta la struttura del libro.
La filosofia – dice Jaspers – è conoscenza nella sua totalità e quando la scienza elabora un particolare elemento, la filosofia rimane orientata verso l'universale. Perciò la psichiatria e la psicologia in Jaspers sono inserite in un contesto filosofico; anche perché il malato mentale continua a essere uomo e la filosofia è cura dell'individuo nel mondo, è cura dell'esser-ci. Nel libro “Psicologia e visioni del mondo” Jaspers parla di una filosofia contemplativa, di un'altra che elabora la realtà e di una terza che mostra in modo attivo la strada per trovare la propria Weltanschauung, il proprio esserci nel mondo.
Non sappiamo esattamente com'è il mondo – dice Andreoli – ma sappiamo che lo possiamo vedere o meglio vivere, in modo diverso a seconda della struttura della nostra mente. Due sono le Weltanschauungen di base: 1) la gioia di vivere; 2) la fatica di vivere.
Se sempre più individui si trovano a vivere questo stato di pesantezza e di disagio significa che è cambiato qualcosa nel comportamento umano e quindi in almeno uno dei tre fattori da cui esso dipende.
Nel primo, nel fattore biologico, non c'è stata nessuna mutazione, mentre il fattore delle esperienze ha subito parziali cambiamenti. Per Andreoli le esperienze di vita più importanti sono quelle relative ai legami, agli affetti che dovrebbero dare sicurezza e invece oggi sono soggetti a instabilità perché i sentimenti vengono usati e poi gettati.
Il terzo fattore, l'ambiente, specialmente quello relazionale, si è modificato in maniera profonda, diventando la causa principale del disagio sociale, dell'ipersensibilità diffusa e della paura di vivere. L'ambiente è il sistema esistenziale di vita, quello che per Platone era la comunità dei cittadini. È un elemento importane ma oggi sotto molti aspetti dannoso. Andrebbe cambiato ma sarebbe un'impresa quasi impossibile – dice Andreoli – allora in alternativa bisogna cambiare la visione del mondo.
Siamo condizionati, perché riempiti di messaggi e di direttive; siamo limitati nel vedere e percepire i luoghi e il mondo. Se entrassimo in un ambiente nuovo senza aver subito alcun ammaestramento cominceremmo a vedere dei particolari, dei dettagli che non sospettavamo ci fossero e potremmo provare l'emozione ormai rara della sorpresa.
Il giorno comincia per tutti con qualche notizia drammatica. Fanno previsioni meteorologiche terribili creando una visione del mondo peggiore di quello che è il mondo stesso.
Il filosofo Arthur Schopenhauer scriveva che è necessario distinguere l'uomo tra ciò che è, ciò che ha e ciò che rappresenta, cioè tra la sua personalità che è fatta di corpo, ingegno ed etica, tra i suoi averi e possedimenti e tra l'opinione che gli altri hanno di lui. Per vivere bene, a proprio agio nel mondo l'elemento più importante è la personalità perché è una componente stabile, propria del soggetto a differenza delle altre che sono variabili e dipendenti dall'esterno.
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Oggi l'ambiente relazionale è il luogo dove tutto è apparenza; è il luogo del potere che viene declinato in modi diversi: c'è un potere politico, un potere della mente, un potere della bellezza. Abbiamo bisogno di occhiali per vedere il mondo in modo diverso. Al potere bisogna sostituire la fragilità, il potere è faccio perché posso, la fragilità è la caratteristica che si lega alla condizione umana, ai limiti che ciascuno di noi ha. E allora i miei limiti hanno bisogno dell'altro, mentre il potere ha bisogno dell'altro per dominare, la persona fragile ha bisogno dell'altro per vivere, perché la fragilità dell'altro unita alla propria dà più forza. La fragilità è qualcosa che ci lega, che ci insegna l'empatia e quindi il sentimento della solidarietà.
Andreoli fa notare fin dall'inizio che il libro parla di gioia e non di felicità: sono due cose completamente diverse. La felicità è una sensazione gratificante che si ha in seguito a uno stimolo: una buona notizia, un successo. La felicità ha una dimensione individuale, si lega all'ego, all'io. La felicità è anche transitoria, nel senso che finito quello stimolo si ritorna ad avvertire quella che è la fatica di vivere. La gioia che risponde al gaudium e non alla felicitas è una dimensione corale, riguarda non l'io ma il noi, la mia gioia deriva anche dall'altro e si trasmette all'altro ed è addirittura qualcosa che unisce, non è individuale ed è stabile perché nonostante gli andamenti che salgono e scendono come una marea il filo della gioia continua perché è una caratteristica della persona, è uno stile di vita. La gioia non è egoista e tiene conto dell'altro.
La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza rivisita molte parole di cui abbiamo penduto il significato originario o addirittura le usiamo con superficialità e talvolta con un'accezione negativa come per esempio la pietas, la saggezza, la speranza, il dono.
Prima di concludere mi soffermo su quest'ultima parola, il “dono”, che Andreoli riprende dal meraviglioso Saggio sul dono dell'antropologo Marcel Mauss.
Marcel Mauss ha mostrato che “dare, ricevere e ricambiare” costituisce l'essenza dell'antropologia e delle società cosiddette primitive. Egli sostiene che il dono è il principio generatore di ogni comportamento arcaico: “accettare qualcosa da qualcuno equivale ad accettare qualcosa della sua essenza spirituale, della sua anima” e la ritualità che questa offerta promuove è alla base delle relazioni, che hanno pertanto una valenza religiosa e persino magica. È il dono che fa, che esprime un comportamento, anche se in un modo non riducibile alla propria volontà, ma quasi magico.
Questo tipo di dono non è un regalo denaro-dipendente, non ha bisogno di sembrare costoso. Andreoli consiglia esplicitamente di non fare regali ma di fare dei doni.
Il dono è qualcosa che possiamo dare e che fa parte del ciò che siamo. Nel regalo c'è il denaro, nel dono c'è il legame con l'altro. Si può essere soli davanti a un regalo ricevuto ma non si può essere soli davanti a un dono.
Bisogna andare contro una società che si misura in denaro. Si deve creare dialogo, solidarietà e fare gioia: questo è il messaggio di fondo dell'ultimo libro dello psichiatra Vittorino Andreoli, La gioia di vivere. A piccoli passi verso la saggezza.
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