“Ricrescite” di Sergio Nelli, un affascinante pastiche letterario
Ricrescite di Sergio Nelli, edito quest’anno da Tunué, non è certo un inedito. Lo conferma all’istante, nella sua prefazione, Antonio Moresco. Si tratta della ri-pubblicazione di un romanzo già letto e diffuso più di un decennio fa.
E allora per quale motivo riprendere in mano un vecchio testo, rileggerlo, riadattarlo e poi pubblicarlo di nuovo? La risposta arriva dalle riflessioni ponderate dell’introduzione:
«La prima volta che l’avevo letto mi avevano colpito la sua particolare, sotterranea atmosfera, la sua eccentricità, il suo passo a volte grave a volte scherzoso, la sua disperata grazia, il suo essere sempre in bilico tra narrazione e pensiero, autobiografia intima e sguardo allargato sul mondo, spunti lirici e riflessivi, illuminazioni e affondi».
E chiosa, sempre l’autore della prefazione: «Mi fermo qui perché un libro magico come questo, a parlarne troppo, a starci troppo addosso, lo si soffoca».
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Così, al lettore, che si avvia a scorrere le pagine e a leggerlo o, in alcuni casi,a rileggerlo, la curiosità sorge spontanea: cosa avrà mai di magico questo romanzo?
Facciamo subito una premessa. Per la verità una trama non c’è. Non è riconoscibile, e probabilmente, non serve cercarla. La storia è molto semplice. Si tratta del diario personale di un uomo di età più che matura, di professione insegnante, a cui è stato donato dalla vita un figlio (che nel libro ha circa quattro anni). Ogni capitolo è scandito da un mese dell’anno. L’arco temporale prescelto è proprio quello di trecentosessantacinque giorni, nulla più e nulla meno. Nelle pagine scorrono pensieri, stralci di pensiero, aneddoti, pezzi di voci enciclopediche, dialoghi e attimi di sospensione temporale. L’unico percorso che si mantiene costante è l’idea di raccogliere (tramite ormai disusati nastri) storie e riflessioni di un gruppo di ex alcolisti.
Ma il flusso di parole in parte joyciano, in parte leopardiano, in parte proustiano, non si arresta mai. Proprio come un magma. E non sarà un caso che di questa materia, dei vulcani e delle loro caratteristiche si dia spesso un dovizioso dettaglio. Sicché il vulcano assume quasi una funzione metalinguistica. La scrittura come la vita è paragonabile a materia incandescente che può strabordare e devastare anche chi scrive.
E d’altronde è una lava, quella che scorre, pagina dopo pagina, senza precedenti: poesie, meditazioni, “pensierini” del piccolo Federico, drammi personali e non, micro-sequenze abbozzate, capitoli interrotti e a volte singole voci riprodotte (magari quelle di qualche alunno). Si passa così da un tipo di periodo ipotattico a uno paratattico e a tratti monoproposizionale. Inconsapevole o meno che sia, Sergio Nelli nel suo Ricrescite compie un’operazione, che oggi, allo scadere del secondo decennio del Duemila, per noi, non è poi così innovativa: la micro-sintassi. Per meglio specificare, quella dei blog, delle chat, dei post su Facebook. Ecco, senza sminuire il valore letterario di questa narrativa sperimentale, si può osservare che lo scrittore nel 2004 fu uno dei primi ad anticipare una struttura della frase, che oggi è parte del parlato e scritto moderno.
Forse perché trattandosi di un diario viene meno consapevole il rispetto di alcuni paradigmi del romanzo. O forse perché a volte il nostro pensiero, infin dei conti, è più facile esporlo in poche e chiare parole che in ampie digressioni filosofiche. Ma non è certo una collezione di frasi monoproposizionali o semplici enunciati. In questo romanzo si trovano moltissime sequenze di racconti e storie. Quello che genera una linea comune è proprio la scelta, a volte inconsapevole, di confondere il lettore. La punteggiatura quasi sembra assente a tratti o perde la sua vocazione segmentatrice-sintattica. Prevale qui quella emotivo-intonativa.
Non ci sono segni di interpunzione che ci aiutano a capire chi parla e chi risponde. A volte in un periodo si possono trovare due o più voci intersecate. E anche in questo aspetto Sergio Nelli anticipa geni e caratteri della scrittura odierna.
Resta poi l’efficacia e l’enigmaticità del titolo: Ricrescite. Cosa ricresce? I vulcani, per esempio, ricrescono, dopo ogni loro eruzione. Così, questo padre maturo, alle prese con il figlioletto, ricresce. Si accorge che a un certo punto della sua vita (alle prese con una malattia non ben identificata) può ricominciare a crescere nuovamente come uomo. Ed è in questo processo che il romanzo riesce a dare il meglio di sé. Le cose osservate, i ricordi recuperati, le storie drammatiche ivi presentate. Ogni riflessione, ogni sigaretta accesa di notte, ogni giornata sembra avere il sapore della vita. Dal principio fino al suo decadimento. Un processo biologico viene narrato in un anno di vita. In un frammento qua e là, alla fine, tutto quel che è vita, è presente in questo romanzo. Un testo di che tipo? Autobiografico, diaristico (non ci sono mai date indicate, ma solo i mesi), sperimentale? Non si sa e non è dato saperlo. «Genere indefinibile», così lo apostrofa Antonio Moresco. E così va pensato.
Ma è un libro complicato? No, per niente. Lo scrittore si allontana da un linguaggio artefatto e raffinato. Preferisce l’associazione di idee del sogno, il pensiero semplice del bambino, la sincerità quotidiana. A tal punto che a volte, anche un’escursione nel turpiloquio, non si può biasimare. Una frase come questa:« Federico mi ha tirato giù il pigiama e mi ha baciato il culo. Non è la prima volta. Lo lascio fare» conserva in sé una sua ironica piacevolezza.
Non è un libro per nulla noioso. Non si trasforma mai in una materia boriosa e sempre uguale a sé. Come si può ben comprendere da questi pochi spunti proposti, non manca certo l’aspetto magico nelle pagine di questo romanzo.
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E così, la domanda, che ci eravamo posti, all’inizio (perché ripubblicare un testo di quattordici anni fa) ha una sua riposta. «Viene ripubblicato da Tunué, ad apertura di una serie di ristampe annuali che si prefiggono meritoriamente di salvare alcune opere che la macina editoriale e culturale di questi anni, e le logiche puramente mercantili e mediatiche che le governano, destinerebbero altrimenti all’oblio; di andare a ripescare alcune perle sepolte». Sono queste le parole d’apertura di Moresco.
Dopo averlo letto, si possono confermare tutte. In effetti sarebbe stato un peccato perdere questa perla sepolta. Meglio così, almeno per il 2018.
Per la prima foto, copyright: Alex Guillaume su Unsplash.
Per la terza foto, la fonte è qui.
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