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Ricordare per trattenere. “Nessun nome per Emilio” di Fabio Morabito

Ricordare per trattenere. “Nessun nome per Emilio” di Fabio MorabitoUscito per Exorma, nella traduzione di Adrian N. Bravi e Marino Magliani, Nessun nome per Emilio di Fabio Morabito è un romanzo sorprendente. Sorprendono, in primis, gli elementi che mescola: un bambino, un cimitero, una madre che ha perso il figlio, una moglie e un marito che devono fare i conti con il fatto che il tempo può trasformare i rapporti.

Emilio ha una memoria straordinaria. Gli basta leggere una sola volta una parola per ricordarsela. È un superpotere o un problema, dipende da quale punto di vista lo si guarda. Di certo, per un periodo, Emilio trova un alleato in questa sua caratteristica, anche perché ha una missione da portare a termine. Deve cercare il suo nome inciso tra le tombe del cimitero. È indispensabile: in assenza di questa conferma, il suo nome non può essere pronunciato in mezzo alle lapidi. I morti lo farebbero morire perché sono assetati di nuovi nomi.

Nasce un racconto sottile, quasi un bildungsroman, in cui Emilio è spinto a sperimentarsi, a scoprire i confini del proprio corpo, delle proprie curiosità.

 

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Dall’altro lato, c’è una madre che ha perduto il figlio, un figlio che aveva la medesima età di Emilio, che, nei suoi gesti, glielo ricorda. Simile, ma non identico. C’è qualcosa di timido e di impertinente nei gesti di Emilio. In sottofondo, si percepisce anche una nota di ingenuità nelle richieste che fa alla donna, nel bisogno che ha di incontrarla tra le lapidi, nell’urgenza di scorgerla con il mazzolino di fiori in mano, pronta a depositarlo sulla tomba del figlio.

Ricordare per trattenere. “Nessun nome per Emilio” di Fabio Morabito

Nella sua essenza, Nessun nome per Emilio rimane un libro che si sottrae alle definizioni, si rifiuta di lasciarsi raccontare, esigendo, invece, di essere letto, di farsi trasportare in questo mondo stretto, claustrofobico, ma al contempo – in modo inspiegabile – accogliente. Ci si sente quasi come a casa, in mezzo a una specie di comunità che intreccia le vite degli uni con gli altri.

Incontriamo così la madre di Emilio, una traduttrice, che si sta sforzando di ricreare un suo equilibrio dopo la separazione dal marito. Scivola così nel suo ruolo di moglie, quindi di donna. Di corpo. Ha mal di schiena, per via del lavoro. O forse per colpa della tensione che si ritrova sulle spalle.

Di contro, c’è il padre di Emilio. Un’assenza. Un desiderio che ritorni. Lo conosciamo di più come marito, bisogna avere pazienza per scoprirlo nella sua veste di padre.

Poi c’è Euridice, dalle caviglie che piacerebbero al papà di Emilio. Il ragazzo ne è certo. Vorrebbe averne conferma, per questo richiede che lo accompagni al cimitero dove incontra la donna a scadenza regolare. Euridice si porta nel cuore un grandissimo dolore. E non si sa se sia colpa di questa perdita se la donna è incapace di mantenere le distanze, sottrarsi agli altri. Lo fa anche con Emilio. Continuerà a farlo?

Ricordare per trattenere. “Nessun nome per Emilio” di Fabio Morabito

Oltre a loro, ci sono poi quelli che si occupano del cimitero. Tra cui un giovane che strega gli sguardi delle signore quando, con la scala – poiché alcune lapidi si trovano più in alto ed è difficile raggiungerle e depositare i fiori – si presta a fare piccoli servizi per queste. Non disdegna di rubare loro un bacio, quando può.

Infine, c’è un signore più anziano, un altro custode, con una storia che si dispiega man mano che lo conosciamo, che si intreccia con gli altri personaggi fino a diventare un corpo che fa la differenza.

 

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Dal punto di vista stilistico, Nessun nome per Emilio si rivela un romanzo ironico e profondo, la lettura galoppa tra le pagine in cerca di comprendere cosa stia succedendo all’eroe. Quanti altri nomi riuscirà ancora a memorizzare il protagonista? E se qualcuno dovesse pronunciare il nome di Emilio prima che il ragazzo trovi una lapide su cui esso sia inciso, i morti lo vorranno davvero? Tutto sembra possibile. Persino innamorarsi di una donna adulta, di una madre non tua. Tutto sembra possibile poiché con Emilio stiamo esplorando la dimensione dell’adolescenza, in cui le cose hanno tanti nomi, ma mancano ancora di sostanza. E, a tratti, si ha il piacere di immaginare che la stessa memoria prodigiosa di Emilio sia una metafora del passaggio tipico dell’adolescenza. Ricordare è un modo per trattenere. Gli altri, il passato, se stessi.


Per la prima foto, copyright: Kevin Andre su Unsplash.

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