Ricognizione nella letteratura postcoloniale – La produzione di Nadine Gordimer
In questa ottava puntata della rubrica dedicata alla scoperta mensile di dodici premi Nobel per la letteratura, conosciuti e meno conosciuti (qui la puntata precedente), racconteremo di Nadine Gordimer, vincitrice del premio nel 1991. Analizzeremo l’opera dell’autrice sudafricana offrendo una ricognizione circa i temi principali che intessono la sua produzione.
La letteratura di Gordimer, nonostante il filo rosso tematico segua lo sviluppo dell’apartheid, ha avuto fasi tra loro differenti, definendo una produzione eterogena che ha saputo avvicendarsi con gli eventi storici e poi plasmarli in una fiction nuda e serrata. Storia e letteratura, reale e finzione si intrecciano nell’opera della Gordimer, fino a rappresentare un atto di riflessione e di veicolo della verità[1] che, malgrado il coinvolgimento personale dell’autrice nelle vicende storiche, resta sempre oggettivo, imparziale e abile nell’osservazione della vita quotidiana. Stephen Clingman ha definito la scrittura di Gordimer con l’espressione History from the Inside[2], ossia una scrittura capace di assorbire gli avvenimenti storici e poi restituirli al lettore sotto forma di fiction. Tale apparato narrativo si inserisce, com’è noto, nell’ampio panorama della letteratura postcoloniale. Invero, la carriera letteraria di Gordimer è progredita tra gli incandescenti contrasti sia a livello politico sia a livello sociale sudafricani, basti pensare a un tema su tutti come quello dell’impatto del colonialismo in Africa.
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La contezza degli steccati culturali e razziali presenti in Sudafrica l’autrice la assume soprattutto negli anni degli studi universitari grazie al rapporto osmotico tra la comunità di giovani studenti bianchi liberal e quella di studenti neri proveniente da ogni parte del continente, e, in questa atmosfera, a poco più di un anno dall’istituzionalizzazione dell’apartheid, pubblica la sua prima raccolta di racconti: Face to face: Short Stories (1949). Da allora ha scritto tredici romanzi, pubblicato moltissime antologie di racconti e numerosi saggi.
La prima fase della sua produzione[3], che va dal 1953 al 1963, e a cui appartengono i romanzi The Lying Days, A World of Strangers, Occasion for Loving, è focalizzata sul periodo dell’apartheid. Il primo di questi avvia quel movimento narrativo basato sull’analisi quasi paranoica del comportamento umano e l’organizzazione di principi generali e obiettivi[4]. La duplice organizzazione di questi elementi deriva dalla profonda esigenza (anzitutto emotiva) di poter raccogliere le più diverse sfumature sociali dell’epoca, alternandole a soliloqui e indagini personali. Quest’ultima, invero, è al centro di A World of Strangers: la convinzione del romanzo è che le cause delle disuguaglianze sociali del paese non siano da ricercare nella coscienza di ogni singolo individuo, bensì nel disagio politico che abbraccia la sfera sociale. Tuttavia, in Occasion for Loving Gordimer torna a riflettere sull’esigenza di analizzare lo “sviluppo personale”[5] a partire da un’indagine della coscienza; non è un caso che questo sia uno dei romanzi più simbolici dell’autrice africana, tanto che la prosa evocativa richiama la narrativa di Virginia Woolf[6].
La seconda fase della produzione della Nobel sudafricana, che va dal 1966 al 1981, è uno snodo cruciale anzitutto a livello narratologico. In questo senso la scrittrice consolida la sua materia narrativa con uno sguardo sempre più accorto all’idea che la necessità di un impegno sociale sia una ragione guida per la sua produzione; da ciò nascono romanzi come The Late Bourgeois World, A Guest of Honour, The Conservationst, Burger’s Daughter, July’s People. Tra questi, A Guest of Honour segnerà un passaggio dirimente nella letteratura gordimeriana: esso è il primo romanzo dalla complessa struttura narrativa, ricchissimo di personaggi e, soprattutto, ambientato al di fuori del Sudafrica. Nel successivo The Conservationst, invece, la scrittrice tematizza l’opposizione razziale, intessendo il suo stile di un nuovo elemento come quello dello stream of consciousness, che arricchisce il romanzo di immagini, ricordi in terza persona – la struttura che poi sarà propria di Burger’s Daughter. July’s People è il romanzo appartenente al contesto rivoluzionario, la cui diegesi è proletticamente ambientata in una fase futura del Sudafrica[7]; in questo senso le istantanee di disordine e instabilità sono filtrate attraverso il tema della rivoluzione, in cui forze opposte tendono a convergere. Di questo tono sono figli i romanzi seguenti come A Sport of Nature e My Son’s Story.
Dal 1949 in poi, Gordimer si dedica soprattutto alla stesura di Short Stories e moltissimi saggi critici. È, invero, proprio in un saggio del 1975 a sottolineare l’importanza delle Short Stories, ricordandone l’importanza come momento narrativo distinto dal romanzo:
«a concept that the writer can ‘hold’, fully realised, in his imagination, at one time»[8].
In diverse sedi, sono state sottolineate la maestria e la perfezione tecniche di questi racconti brevi, sia per la loro completezza estetica, sia per le innovazioni dell’autrice rispetto alla short story modernista[9]: il tema storico diventa lo sfondo delle urgenze individuali, rappresentate tramite l’utilizzo della struttura metaforica per la presentazione di elementi tematici[10]. Quest’ultimo tema è anche al centro della sua ultima grande produzione che, come detto, comprende i saggi critici. Essi assumono un’importanza fondante nell’ottica di poter disambiguare alcune falle metatestuali della narrativa gordimeriana.
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Su tutti, è evidente come la connessione tra fiction e critica letteraria sia tutt’altro che auspicata dall’autrice: Gordimer li analizza come elementi separati e attivi su diversi livelli “narrativi”. Per la scrittrice il romanzo resta il metodo per analizzare la realtà sociale, questo perché la narrativa vera e propria agisce a un livello più endemico rispetto a quello dei saggi, accedendo alla coscienza umana dei singoli individui. La saggistica, parallelamente, assume un ruolo chiarissimo nella produzione della scrittrice africana: è parte integrante della narrativizazzione del mondo circostante.
Riferimenti bibliografici
GORDIMER N. (1988), Selecting My Stories, in The Essential Gesture, p.117.
ID (1953), The Lying Days, Heinemann, London.
HEAD. D. (1995), Nadine Gordimer, p.161.
LOMBERG A. (1990), in Critical Essays on Nadine Gordimer, p. 32.
TEMPLE-THURSTON (1999), Nadine Gordimer Revisited, Twayne Publishers, New York.
ZULLI T. (2005), Nadine Gordimer, Strategie narrative di una transizione politica, Liguori Editore, Napoli.
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