Riccardo III, nella metropoli della violenza
Può essere portato il monologo iniziale del Riccardo III, nella metropoli della violenza e dell’angustia? Sì, ci hanno pensato Francesco Asselta e Michele Sinisi presentando al Festival Castel dei Mondi di Andria una versione post-moderna del monologo, della durata di 45 minuti e intitolata, semplicemente, Riccardo III. In scena un “tipo” metropolitano: un uomo di strada, un barbone, unwriter, uno storpio tabagista alle prese con il sussulto della tragedia e della flagellazione quotidiana. Del sudore della fatica di vivere nella predestinazione mai del tutto accettata.
Lo spettacolo sta compresso nella recitazione sincopata del monologo interrotta dalle azioni di scena di Sinisi che, per quadri, si reinterpreta di volta in volta, incarnando fisicamente e plasticamente la bruttezza deteriore del nostro tempo. Come fosse saltato il confine tra norma e vita: tutto, nella messa in scena, allude all’assenza d’identità fuori della cattiveria umana. Una cattiveria che si sviluppa su un tavolo di acciaio sul quale Sinisi, recitando Shakespeare, disegna parole, didascalie e sagome come la sindone del testo e della sua stessa, complessa, rappresentazione. Un tavolo come ne troviamo negli obitori, nelle sale da tortura delle polizie di mezzo mondo, per strada a fungere da giaciglio per i senzatetto.
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Non c’è redenzione in questo spettacolo, né giudizio, perché la morale della violenza prevale assoluta e potente sulla vita. E il pubblico vive quasi un insegnamento, un inseguimento etico che cancella ogni possibilità di uscita dal fetore alcolico delle metropoli contemporanee e dalla scelta di vivere nell’imposizione del cinismo. Vi sono tutti gli elementi che contraddistinguono il Riccardo III – il tradimento, la compiutezza dell’astuzia, la confessione – combinati nello sviluppo di una rappresentazione che merita di essere considerata un bel pezzo del teatro contemporaneo italiano.
Vi sono porzioni che, se staccate dal corpo dello spettacolo, si fissano nella memoria come installazioni, fotogrammi metropolitani, eco realistiche ma non per questo soltanto crude. Anzi, l’elaborazione registica sorprende per l’ironia e la delicatezza che talvolta attraversa lo spettacolo, ponendo il pubblico all’ingresso di una partecipazione sentimentale, prima che razionale. Non v’è dunque adorazione della malvagità, come in tanta drammaturgia post-punk, ma finalmente un'indelicata ricerca di senso in questo Riccardo III nella metropoli della violenza.
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