“Riccardino”. L’ultimo, commovente, grottesco saluto di Andrea Camilleri
Era il 2007 quando mi capitò tra le mani La vampa d’agosto, scritto da Andrea Camilleri e con protagonista il commissario Salvo Montalbano. Mi colpirono sia la lingua usata dall’Autore, tanto affascinante quanto incomprensibile sulle prime, sia il protagonista, un investigatore diverso da quello classico. Da quel momento cominciò una lunga e appassionata storia d’amore con uno dei più talentuosi scrittori italiani.
Anche se Camilleri ha scritto pregevoli romanzi storici, quali La concessione del telefono e La mossa del cavallo, il suo nome sarà per sempre legato a quello di Salvo Montalbano, sua creatura tanto amata quanto odiata. Con lui continua la lunga tradizione del giallo classico, inaugurata da Edgar Allan Poe e che vanta autori del calibro di Arthur Conan Doyle, Agatha Christie, Georges Simenon e Manuel Vázquez Montalbán, solo per citarne alcuni.
Eppure Montalbano non è affatto simile ad Auguste Dupin o a Sherlock Holmes o a Hercule Poirot. Questi sembrano appartenere a un altro mondo; sono esseri eccezionali, quasi dei superuomini (che di umano hanno ben poco!).
Il commissario Montalbano è geniale e arguto, come gli investigatori sopracitati.
«Si avviarono verso il paese, diretti al commissariato. […] Il commissario invece era di Catania, di nome faceva Salvo Montalbano, e quando voleva capire una cosa, la capiva.» (La forma dell’acqua)
Eppure ci viene descritto come un essere umano:pieno di difetti e di debolezze. Pensiamo, ad esempio, a come ci viene presentato per la prima volta mentre sta facendo un sogno erotico! Andrea Camilleri ne descrivele fragilità, i tormenti, le inquietudini e soprattutto le sconfitte.
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Montalbano prova disgusto di fronte alla malvagità dell’essere umano. L’amata Sicilia di Camilleri è quella stessa di Leonardo Sciascia: è il ritratto impietoso di un’Italia corrotta e pronta sempre al compromesso. In Riccardino (Sellerio) il commissario si scontrerà con la Chiesa, rappresentata dalvescovo Partanna, sempre pronta a nascondere i misfatti, e con lo Stato, rappresentato dall’onorevole Saccomanno, ex Dc e amico di mafiosi. Quelli di Andrea Camilleri non sono solo romanzi di pura evasione, sono un’indagine condotta con scrupolo per smascherare il male, la corruzione, il marcio che si cela tra gli ingranaggi del sistema.
«Sai quanti mi chiedono “una bella storia gialla” che sia semplicemente tale, vale a dire senza che c’entri la politica o la mafia?» (Riccardino)
Nei romanzi storici Camilleri narra di un mondo passato non tanto differente da quello presente analizzato in tutte le sue sfaccettature, invece, nei romanzi gialli. In questi ultimi mediante il ragionamento e la deduzione si tenta di trovare un ordine che viene spesso messo in pericolo dal male sempre caotico e irrazionale.
Ecco che Montalbano diventa un don Chisciotte, un uomo che continua a credere nella giustizia; dietro l’amarezza, dovuta alla consapevolezza, è celato un barlume di speranza, Una lama di luce(per citare un altro romanzo) che porta a credere nella possibilità di poter mettere ordine nel disordine.
Montalbano si trova a disagio nella realtà contemporanea.
«Significa, Montalbano, significa. Significa inconsciamente ancorarsi al passato, non volere vedere, addirittura rifiutare, certi cambiamenti.» (Il ladro di merendine)
Un disagio che si acuirà con il passare degli anni, invecchiando, e che si ripresenterà in modo più evidente nella Rete di protezione: dove dovrà confrontarsi con le fragilità della nuova generazione, così tanto diversa dalla sua.
Ed è per questo motivo che si lascerà andare sempre più ai ricordi della sua infanzia.
«La filicità d’essiri arrisbigliato da ’u papà! A cinquant’anni di distanzia l’emozioni di quel risveglio se la portava ancora appresso, ancora risintiva quella gioia accussì intensa d’addivintari dulurosa quanto a ’na firuta.» (Riccardino)
Montalbano recita, si diverte a prendere in giro il «signori e guistori» Bonetti-Alderighi, facendogli credere di essere un rimbambito. Recita quando deve vendicarsi di qualche soverchiatore; recita quando deve inchiodare il colpevole.
«Beh? Hai fatto tiatro, hai tragediato come cento, mille autre vote in passato, che c’era ora di tanto strammo, si spiò.
Nenti di strammo, arrispunnì a se stisso.
E no, c’è ’nveci ’na novità, qualichicosa di cangiato.
E cioè?
E cioè che mentri che per doviri d’ufficio reciti un certo pirsonaggio, per confunniri la testa di chi stai ’ntirroganno, tu, nello stisso tempo, ti osservi, ti consideri, ti giudichi, t’apprezzi o no.» (Riccardino)
Riccardino, oltre a essere un gustoso giallo, è soprattutto una meditazione che Camilleri compie sulla propria arte – spesso poco apprezzata.
«Ma tu lo sai quanti, tra quelli che m’accusano di essere un prodotto mediatico – il che non è assolutamente vero, io semmai sono il risultato di un passaparola tra i lettori – vorrebbero disperatamente esserlo? Hai presente la storia della volpe e l’uva?» (Riccardino)
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Nel 1951 Simenon, nelle Memorie di Maigret, mise in scena l’incontro/scontro tra Autore e Personaggio (in questo caso il laconico commissario francese). In Riccardino, come nel poco conosciuto racconto Montalbano si rifiuta, avviene la stessa cosa: un grottesco conflitto che ammicca al teatro dell’assurdo di Luigi Pirandello, altro grande amore di Andrea Camilleri e citato nel romanzo. Alla fine c’è l’inevitabile resa dei conti tra l’Autore, autoironico e sempre più invadente (a più riprese tenterà di sabotare l’indagine), e Montalbano, sempre troppo stanco e sempre più infastidito da quel ruolo di Personaggio.
«Caro il mio Autore, io credo che con questa storia si è allargata tra noi una crepa esistente già da qualche tempo, crepa che rende sempre più difficile ogni ulteriore collaborazione.» (Riccardino)
Il finale non sarà quello tradizionale così come il conflitto non avrà il solito esito. Il finale di Riccardino potrebbe certamente deludere le aspettative del lettore, lasciandogli l’amaro in bocca e un senso di frustrazione. Eppure, dopo aver bene metabolizzato tutto, si farà avanti una certezza che è l’ultima grande lezione che il Maestro ha voluto lasciare ai suoi lettori ed amici: la libertà. L’arte è libertà; è fare ciò che si vuole, senza badare troppo alle inconsistenti critiche e alle inutili chiacchiere. Fino all’ultimo Camilleri è stato un artista libero ed il finale inconsueto ne è la prova schiacciante.
Forse anche questa non vuole essere la consueta recensione di un romanzo, quanto invece una lunga lettera d’amore e di ringraziamento nei confronti di un Autore che con la sua penna (sanguigna e passionale come la sua amata Sicilia) ha saputo (ma continuerà a farlo perché i suoi scritti sono «un monumento più duraturo del bronzo») far divertire e riflettere milioni di lettori.
Grazie di tutto.
Per la prima foto, la fonte è qui.
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