Renzo Tramaglino, uno, nessuno e centomila. Il relativismo e i “Promessi sposi”
Parlando di relativismo in letteratura la nostra memoria corre al genio grottesco di Luigi Pirandello; nei suoi capolavori, dal Fu Mattia Pascal al Vitangelo Moscarda di Uno, nessuno e centomila, lo scrittore siciliano svelò il drammatico conflitto che stava lacerando l’umanità del XX secolo, perduta nell’affannosa ricerca di un’identità che fosse unica e assoluta. Purtroppo, però, questa fatica, agli occhi di Pirandello, non avrebbe mai potuto conseguire un risultato che fosse sufficiente: esistono tante realtà, quanti sono gli occhi di chi guarda. «Io sono colei che mi si crede», afferma la moglie del signor Ponza nel dramma Così è (se vi pare).
Se facessimo un salto indietro, arrivando alla prima metà del XIX secolo, scopriremmo che un altro autore aveva già trattato del relativismo, da lui chiamato «guazzabuglio», e delle diverse identità che interessano il singolo essere umano.
Alessandro Manzoni nel suo capolavoro, pilastro della letteratura italiana, i Promessi sposi, descrisse un mondo terreno dominato dal cieco caos. Nell’animo dello scrittore albergavano sia una sentita fede verso la Provvidenza, l’unica onnipotente intelligenza capace di mettere ordine, sia la consapevolezza che il mondo non fosse altro che un guazzabuglio di azioni e di sentimenti. Allegorica è la famosa descrizione fatta della vigna di Renzo: essa è l’immagine di un universo caotico.
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Il disordine nasce non da Dio, perché Lui è ordine, ma dalla folla, altra grande protagonista del romanzo. I suoi sentimenti, le sue opinioni (il più delle volte dettate dall’ignoranza), il suo agire sono molte volte fattori che scatenano una serie di conseguenze imprevedibili, che contribuiscono a peggiorare la situazione rendendola ancora più caotica.
«così fatto è questo guazzabuglio del cuore umano.»
Questo disordine, come abbiamo detto, nasce anche dai diversi pensieri e dalle differenti opinioni che ognuno si costruisce da sé: la realtà è quindi frantumata perché tutti si approcciano a essa in maniera differente. Esistono molteplici punti di vista, di conseguenza esistono tante verità. Ciò possiamo ben notarlo, per citare due casi famosi, durante l’assalto ai forni e, in seguito, allo scoppiare del morbo pestilenziale.
Inevitabilmente il guazzabuglio interessa anche l’identità di una persona. È il caso questo di Renzo che, nel corso del suo peregrinare, vede cambiare sovente la propria identità; agli occhi della folla il povero filatore assume nuove e inaspettate personalità. Identica odissea vivrà, il secolo seguente, Vitangelo Moscarda.
Il primo equivoco avviene nell’ufficio dell’avvocato Azzecca-garbugli. Renzo, saputo che il curato non può celebrare il matrimonio perché il giorno prima è stato minacciato da don Rodrigo, su consiglio di Agnese, si reca dall’avvocato. Il filatore spiega la situazione e, mentre parla, si accorge che Azzecca-garbugli si esprime in modo equivoco.
«Ah! ah!» gli disse poi: «vi siete però fatto tagliare il ciuffo. Avete avuto prudenza: però, volendo mettervi nelle mie mani, non faceva bisogno. Il caso è serio; ma voi non sapete quel che mi basti l’animo di fare, in un’occasione.»
Il povero Renzo è stato scambiato dal “buon” avvocato per un bravo, un criminale il cui segno distintivo è il ciuffo.
Un altro disguido sorge, capitoli più avanti, durante l’assalto ai forni. Renzo, separatosi da Lucia e Agnese, si reca a Milano; qui la folla, esasperata dalla cattiva politica dei governanti, decide di irrompere nelle varie botteghe per prendere con forza il pane. Il giovane filatore, non capendo ciò che succede, partecipa ingenuamente a questa piccola rivoluzione. Sedati gli animi si avvia in un’osteria dove, complice anche il vino, si prodiga in ambigui discorsi.
«Comunque sia, quando que’ primi fumi furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l’uno in giù e l’altre in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l’abbiam lasciato, stava già come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran venute via senza farsi pregare, e s’eran lasciate collocare in un certo qual ordine.»
Chi ascolta questi vani ragionamenti è anche l’oste il quale comincia a credere che Renzo sia un rivoltoso, un sobillatore, un individuo poco raccomandabile, nemico del potere costituito. In realtà, il povero giovane non ha la più pallida idea di ciò che è accaduto in quella giornata: non è altro che un filatore proveniente da un piccolo paesino.
«Quello stesso giorno, 13 di novembre, arriva un espresso al signor podestà di Lecco, e gli presenta un dispaccio del signor capitano di giustizia, contenente un ordine di fare ogni possibile e più opportuna inquisizione, per iscoprire se un certo giovine nominato Lorenzo Tramaglino, filatore di seta, scappato dalle forze praedicti egregii domini capitanei, sia tornato, palam vel clam, al suo paese, […].»
Le disavventure di questo personaggio, antieroe pirandelliano ante litteram, non sono finite. Qualche capitolo avanti, nel pieno dell’epidemia, Renzo parte alla ricerca di Lucia, la sua promessa sposa, in Milano. Qua viene scambiato dalla folla per un untore, tristo figuro e leggendario causa, secondo l’ignoranza popolare, del diffondersi della peste.
«Che diamine…?» cominciava Renzo, alzando anche lui le mani verso la donna; ma questa, perduta la speranza di poterlo far cogliere all’improvviso, lasciò scappare il grido che aveva rattenuto fin allora: «l’untore! dagli! dagli! dagli all’untore!»
Perfino i monatti, che lo salvano dalle ire della folla, lo scambiano per un untore.
«Di che cosa?» disse il monatto: «tu lo meriti: si vede che sei un bravo giovine. Fai bene a ungere questa canaglia: ungili, estirpali costoro, che non vaglion qualcosa, se non quando son morti; […]»
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Renzo non è il solo ad assistere alla continua metamorfosi della propria identità, stessa sorte è anche della Provvidenza. Agli occhi di don Abbondio, di Renzo e di Lucia, dell’oste e di tanti altri la Provvidenza divina assume, di volta in volta, aspetti diversi: tutto questo perché ogni personaggio della storia ragiona secondo il proprio personale punto di vista.
Il relativismo, che scombussola e frantuma l’ordine, che crea infinite verità, entrò con prepotenza nelle pagine dei Promessi sposi. Prima di Italo Svevo, Luigi Pirandello e Italo Calvino – solo per citarne alcuni – Alessandro Manzoni aprì le porte della letteratura al caos capace anche di mettere in discussione l’identità di una persona. Più che il “romanzo della Provvidenza”, possiamo definire questo capolavoro come il “romanzo del disordine” o del guazzabuglio.
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