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Razzismi all’italiana, a uso della politica

Razzismi all’italiana, a uso della politicaL’Italia è razzista? O meglio, c’è del razzismo all’italiana? C’è, lo si sente, lo si vede, lo si può gustare ogni giorno, da Nord a Sud, isole comprese. Ed è un sentimento nutriente per la politica tutta, perché sul razzismo si investe, si soffia, si dibatte. Lo fa Salvini, ovvio, perché sta nelle sue corde morali essere per forme aspre di xenofobia, come lo fanno le forze del centro-sinistra che delegittimano la richiesta di lavoro da parte dei migranti. Come le altre forze politiche che si trincerano dietro un buonista “sono troppi”, “dobbiamo pensare agli italiani, prima di tutto”, “l’Ue deve darci una mano”, “Non possiamo accogliere tutti”.

Queste diverse sfumature di razzismo hanno permeato la cultura nazionale, facendo riemergere un nazionalismo sepolto, a tratti fascista, che si impadronisce dei territori della periferia sottoacculturata.

 

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È davvero paradossale, infatti, che anche nelle città del Sud, dove la memoria dell’emigrazione dovrebbe essere più viva che altrove, dilaghino attacchi ai migranti, forme rozze e violente di esclusione sociale. A uso e consumo della politica che non investe nei sistemi di accoglienza sani.

Stenta infatti ad affermarsi tra i comuni il cosiddetto modello Riace, quello che usa spazi privati per allocare migranti con percorsi di integrazione sociale costruiti con la cittadinanza. Pochi i comuni che hanno preso il paese calabrese come esempio da seguire.

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Eppure, conti ed economie alla mano, Riace riesce a debellare il razzismo a monte, prima che si presenti, perché favorisce il dibattito, la conoscenza reciproca, la narrazione bidirezionale, a discapito di quella unidirezionale dei media, delle tivù e della politica nazionale. Inoltre, Riace stimola a riconoscere nella complessità del mondo globalizzato la risorsa più utile per il Paese. Ma il Paese è provinciale assai, si è seduto sugli allori di un passato la cui gloria (tutta, invero, da dimostrare ancora) è passata da parecchio e non tornerà più.

 

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Un Paese che si professa amante del bello, ma che consente di schiavizzare donne e uomini stranieri nei segmenti più bassi del mercato del lavoro. Un Paese amante del gusto, ma che disgustosamente tratta Rom e Sinti nelle strade dopo averli rinchiusi nei campi. Un Paese democratico che non concede immediatamente la cittadinanza ai figli degli stranieri nati in Italia. Un Paese così è culla per l’odio razziale. Fomenta i razzismi disponendoli come strumenti per la costruzione di consenso elettorale e politico. E questo non fa bene alla democrazia.

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