Raccontare le emozioni con eleganza. “Lo specchio incrinato” di Katherine Anne Porter
Katherine Anne Porter, pseudonimo di Callie Porter, è da considerarsi indiscutibilmente una delle scrittrici più importanti del panorama letterario statunitense.
Come Flannery O’Connor ed Eudora Welty scrisse quasi solo racconti.
Donna del sud, texana, esperta narratrice, tra le più prolifiche della sua generazione, ha vinto il Premio Pulitzer e il National book award come giornalista e scrittrice di racconti.
Per sua stessa ammissione, le piaceva definirsi autrice di racconti o romanzi brevi. La Porter, a questo proposito, aveva preso una posizione ben precisa su come classificare la sua produzione. La suddivisione era schematica ed esaustiva, le sue opere infatti erano rubricate sotto quattro tipologie: racconti brevi, racconti lunghi, romanzi brevi e romanzi. Anche se, in fin dei conti, di romanzi ne aveva scritto uno solamente: La nave dei folli. Un romanzo che ebbe un enorme successo, tanto che seguì una trasposizione cinematografica, un multimelodramma marinaresco, diretto da Stanley Kramer, che valse due Oscar.
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Una scelta, quella della suddivisione, che aveva una ragion d’essere.
La verità era che le ripugnava terribilmente il termine novella, troppo fiacco, troppo smidollato, troppo artificioso e comunque non idoneo a definire un bel nulla, nulla del suo lavoro.
Confesso: non la conoscevo se non di nome, quello che so è quello che ho scoperto una volta letta, e sì con particolare coinvolgimento, questa antologia di racconti e, per rimanere nella suddivisione dell’artista, due romanzi brevi, Vino di mezzogiorno e Fato comune, raccolta sotto il titolo Lo specchio incrinato.
Traduzione di Giovanna Granato, edizione Bompiani, i racconti presenti nello Specchio incrinato, oltre a esprimere il meglio della produzione artistica della Porter, rappresentano altresì la sua formazione letteraria, il suo apprendistato che inizia con Maria Concepcion, il primo racconto, ambientato in Messico, che le è stato pubblicato nel 1922 – il Messico, non bisogna dimenticare, è il Paese in cui sono stati ambientati molti suoi testi –, per continuare con racconti di ben altra levatura, come Bianco cavallo, bianco Cavaliere, in buona parte autobiografico, e risalente al periodo in cui contrasse l’ influenza epidemica per colpa della quale stava perdendo la vita, o il più articolato e simboleggiante La torre pendente.
Una curiosità: il racconto La torre pendente è esattamente quello che sembra. Fa riferimento, infatti, alla torre più famosa del mondo, la Torre di Pisa, come simbolo di precarietà e mistero dei rapporti umani. Temi nei confronti dei quali la Porter ha mostrato sempre, nel corso della sua lunga attività letteraria, un’accesa sensibilità.
Nella fattispecie, La torre pendente, storia ambientata nella Germania pre e post-bellica, racconta le aspirazioni di un giovane e povero pittore, Charles Upton, di origini immancabilmente texane, che realizza il suo sogno d’infanzia, ovvero quello di trasferirsi a Berlino. Qui, tuttavia, vivrà sulla sua pelle il clima di razzismo e conflitto sociale che sarà alle origini del nazismo.
C’è da dire, ma anche da rammaricarsi, che in Italia questa talentuosa scrittrice non è stata molto considerata. Basta guardarsi attorno, farsi un giro nelle librerie e rendersi conto che, sì, di lei c’è davvero poco, e si sa ancora meno. Eppure negli Stati Uniti la s’insegna nelle scuole.
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Katherine Ann Porter narra il mondo decadente del sud, quello uscito dalle guerre di secessione, le saghe famigliari con le hacienda, i domestici neri, le grandi case di campagna. In alcuni racconti sembra avvertirsi l’ululato del vento che sposta le spighe di grano, il sudore asterso via dalla fronte dei coltivatori, le immagini che la sua penna restituisce restano indelebili, come un ricordo che il lettore ha vissuto personalmente.
Quello che hanno i racconti di Katherine Porter è la capacità di trattare le più intense emozioni umane e riuscire a farlo con eleganza e chiarezza.
Per la prima foto, copyright: Aleksander Suszyński.
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