Raccontare il tempo ai bambini. La storia di Maffin e del suo orologio
Maffin è il romanzo di Massimo De Nardo uscito a marzo, edito da Rrose Sélavy di cui è il responsabile editoriale. Dopo la pubblicazione di alcuni racconti per adulti, questo è il suo primo libro per ragazzi che inaugura la collana “Il Quaderno Ready-Made”, libri “belli e pronti da leggere”. Questa nuova collezione di romanzi brevi e lunghi non illustrati, per bambini dai nove anni in su, è un chiaro omaggio a Marcel Duchamp, come si evince già dal nome della casa editrice (che prende spunto dal nome con cui egli firmava alcune sue opere).
Quando si ha a che fare con un pubblico di lettori giovani è difficile, spesso, trovare un argomento o un soggetto che non sia già stato narrato, sia da un punto di vista fantastico che realistico. De Nardo, invece, riesce con semplicità a parlarci di una storia normale, di un ragazzino altrettanto normale, che ha con sé qualcosa di speciale: un antico orologio.
La copertina ci dà un ulteriore indizio di come la vicenda si farà via via più strana e surreale, infatti un camioncino bianco e rosso, un border collie e tre aquile sembrano, apparentemente, non avere senso, invece saranno fondamentali.
Un orologio magico
Martino Torren, detto Maffin, ha quattordici anni, vive con la zia Emma e un giorno gli viene consegnato un orologio speciale dal signor Gen che lo ha riparato. La sua missione sarà quella di riportarlo al legittimo proprietario, il signor Krons.
Fin qui nulla di strano, se non per alcune raccomandazioni che l'orologiaio gli riferirà. Maffin, infatti, dovrà stare attento che l'orologio segni sempre l'ora giusta, né un minuto avanti, né uno indietro, altrimenti il tempo si scombussolerà con chissà quali conseguenze.
Una responsabilità davvero grande per un bambino della sua età, tanto quanto il valore di quello strano oggetto. Privo di ricarica, con ingranaggi di un legno raro, resistente all'usura, al fuoco e all'acqua, questo orologio si crea intorno un alone di mistero che lo seguirà fino alla fine.
Nel suo percorso verso la meta da raggiungere, un paesino chiamato Villad'aria, quasi inesistente sulle mappe, il ragazzo incontrerà dei personaggi (tra cui Angelo Vlad, la signora Ros e Nelly), insieme a un border collie e tre aquile, che lo aiuteranno a salvare l'oggetto (e forse la vita) dalle mani di alcuni uomini loschi che vorrebbero impadronirsene. D'altronde, forse essi conoscono le sue peculiarità e, magari, rubarlo potrebbe voler dire cambiare il corso degli eventi? O l'orologio è nato proprio per questo? Maffin lo scoprirà solo al termine della vicenda, tra lotte contro il tempo e geniali intuizioni.
Un narratore sempre presente
Trattandosi di un romanzo per ragazzi, il linguaggio è fresco, diretto, ossia senza fronzoli, e semplice come l'anima del protagonista. De Nardo, però, utilizza degli stratagemmi che rendono la storia avvincente, dal ritmo a tratti incalzante, e ci spinge a inseguire una parola dopo l'altra per capire cosa succederà poi.
I ragazzini, si sa, sono curiosi per natura, ma tutto ciò che accade nel romanzo ci dimostra che l'autore sa calamitare l'attenzione anche di un pubblico adulto.
Se, infatti, dalle prime pagine capiamo che c'è un narratore onnisciente che ci racconta la vicenda, successivamente sentiamo che la sua presenza diventa sempre più palese; egli è testimone e partecipe degli eventi, quasi come fosse uno dei personaggi.
Adottando un certo tipo di scrittura, il narratore entra nella vicenda, ed è come se lo immaginassimo appollaiato sulla spalla del protagonista per aiutarlo e consigliarlo (magari come vorrebbe fare lo stesso autore!), come in questa frase: «Ehi, caro Martino, rilassati, prendi il libro illustrato del marinaio con gli orecchini d'oro e le basette lunghe, leggilo, e lasciale a lui tutte queste pericolose avventure».
In qualche passo, addirittura, ci troviamo di fronte a una storia che cambia in corsa, mentre leggiamo, poiché in quel punto lì il narratore decide di tralasciare qualcosa: «Signor tipo mogano, alla prossima stazione la facciamo scendere, che ne dice?».
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Spesso ritroviamo anche alcuni commenti e pensieri ad alta voce che appartengono sempre a colui che narra: «Perché le storie non è che sono scritte tutte dall'inizio alla fine, con i personaggi belli e pronti sullo scaffale della fantasia […] Noi lo sappiamo come andrà a finire, vero Vlad?» oppure «Sto pensando a come dovrebbe proseguire la storia».
Leggendo questi estratti si può intuire che vi è una sorta di collaborazione tra il narratore e Vlad (che forse è il suo alter ego), i quali si scambiano quasi dei pareri perché sanno di essere degli aiutanti preziosi per Maffin, anche quando rimangono nell'ombra.
Molte delle espressioni che leggiamo in tutto il racconto, come è ovvio, rimandano a delle riflessioni su cosa sia il tempo e su come gestirlo, ciò che è il nocciolo dell'intera storia.
Indagini sul tempo
«C’è sempre un orizzonte da qualche parte. Non scompare mai l’orizzonte. È un po’ come il tempo, che pure lui c’è sempre». È vero, forse non ce ne rendiamo conto, ma il tempo c'è e delle volte non riusciamo ad “acchiapparlo”, a domarlo. È un'entità sfuggente, che però ritroviamo quando guardiamo l'orologio, l'unica cosa che sembra poterlo catturare. Ci facciamo convincere che sia così, e il racconto lo dimostra, poiché l'orologio scandisce i ritmi della giornata, li ordina e mette in sequenza gli eventi, altrimenti vivremmo nel caos.
Ma siamo sicuri che, invece, non sia proprio questo comune accessorio a condizionarci? Nel romanzo non viene mai palesato, ma tra le righe possiamo trovare la risposta.
«Sì, questa è una fabbrica. Progettiamo e realizziamo orologi solari. Nessun meccanismo: noi misuriamo il tempo naturale» esprime il tentativo di superare la dipendenza dagli aspetti tecnici e meccanici che certi oggetti ci impongono, poiché comunque il tempo è inesorabile, va avanti nonostante noi e nonostante tutto.
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«[...] non possiamo più, come prima, spostare a piacere i personaggi e i luoghi, e le loro storie. Perché il tempo, per adesso, non ci appartiene più» si legge in uno degli ultimi capitoli, come a dire che lo ha capito anche il narratore che il tempo va vissuto e non misurato o fermato, cosa che si può fare solo nei romanzi: «Con tutto il resto invece non si può. Con la vita (e questa è davvero una parola grossa) non possiamo farlo. Abbiamo l’immaginazione che, comunque, ci aiuta».
«Se conosci il tempo è probabile che riesci a capire quello che si dovrebbe fare dopo» si dice, e l'orologiaio Gen sicuramente ne è padrone abbastanza da sapere come gestirlo; ciò si oppone all'incertezza di Maffin, quindi di un ragazzino che ancora non ne ha dimestichezza, e per questo ha bisogno di alcuni aiutanti.
È un po' la metafora della vita quella che si evince da quanto fin qui detto, e anche se «[...] non tutto viene spiegato nel corso della storia [...]», come dice Beatrice Masini nella prefazione, ognuno di noi sa qual è l'aspetto da cogliere.
Se tutto fosse già dato e ben visibile, nelle nostre mani e sotto gli occhi, a cosa servirebbe l'immaginazione?
È questo che De Nardo ci suggerisce: capire che esiste un gioco di squadra, oltre che tra i personaggi, anche tra narratore e lettore, il quale può e deve aggiungere qualcosa di suo nella ricostruzione dei tasselli del puzzle.
Ogni cosa a suo tempo, così nella vita, come in Maffin.
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