Raccontare i millennial dall’interno. Intervista a Iacopo Barison
Con Le stelle cadranno tutte insieme, edito da Fandango, seconda fatica letteraria di Iacopo Barison, il giovane scrittore riprende a parlare della sua generazione, quella dei millennial, così come aveva in parte fatto con Stalin+Bianca, suo primo romanzo edito da Tunué.
Certo, cambiamo i protagonisti e lo scenario, ma l’attenzione di Barison per i giovani resta sempre sensibile e inquieta al tempo stesso, in grado di accompagnarsi anche a una buona dose di ironia funzionale a creare quel necessario miscuglio di distacco e partecipazione emotiva.
E proprio questo è stato uno degli argomenti che abbiamo toccato con Iacopo Barison nell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
Da Stalin+Bianca alla pubblicazione dell’attuale Le stelle cadranno tutte insieme sono trascorsi quattro anni. Com’è cambiato nel frattempo il suo approccio alla scrittura?
L’approccio è rimasto pressoché lo stesso. Continuo a essere molto lento e di rado riesco a scrivere più di una pagina al giorno. Anche lo stile non ha subito stravolgimenti – in parte si è evoluto ma resta asciutto, minimale, con un senso dello humor che ad alcuni fa ridere mentre altri trovano un po’ deprimente. Ho cercato, però, rispetto a Stalin+Bianca, di parlare della contemporaneità in maniera diretta, senza il velo della distopia che in fondo serviva a proteggermi, a evitare di mettermi completamente in gioco. Stalin+Bianca raccontava un mondo, Le stelle cadranno tutte insieme invece racconta il mio mondo, seppur totalmente trasfigurato dalla finzione. In questo senso sono due romanzi molto diversi.
Anche in questo nuovo romanzo si occupa di giovani “particolari” (mi perdoni l’aggettivo molto generico, ma mi verrebbe da usare “problematici”, che mi sembra ancora più riduttivo) animati da qualcosa dentro che li spinge a guardare altrove. Possiamo provare a definire i contorni di questo qualcosa e di quell’altrove? Ovviamente, al di là delle concrete manifestazioni nei due libri.
Nel mio primo romanzo raccontavo una storia di giovani borderline, cresciuti in un quartiere e in un contesto che non dava loro alcuna possibilità di riscatto, e per trovarlo lo cercavano proprio nell’altrove di cui parla, lontano da casa. Ora racconto una storia di giovani privilegiati, che in fondo hanno tutto ma vogliono l’unica cosa che forse non possono avere: il successo. Il loro però non è un capriccio, sono animati da una sincera passione verso il cinema. A renderli alienati è tutto il contorno – i social network, l’esposizione mediatica, la voglia di stare sotto i riflettori. In generale, penso che Stalin e Bianca volessero semplicemente qualcosa, perché non avevano nulla, mentre i protagonisti de Le stelle cadranno tutte insieme siano cresciuti con l’idea malsana che alzare sempre di più l’asticella sia giusto a prescindere, il che può portare a non accontentarsi mai, condannandosi così all’infelicità.
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Le stelle cadranno tutte insieme comincia con una domanda semplice e diretta ma anche fortemente ambigua («E poi?»), dal momento che quel “poi” può avere una semplice funzione temporale, ma rimandare anche al futuro con un sentimento di speranza o di paura. Che funzione ha rispetto al romanzo e perché ha deciso di cominciare proprio così?
In una prima fase, il romanzo cominciava senza la domanda di cui parla. Però sono sempre stato convinto che le prime righe di un libro debbano riassumere al meglio il nucleo dell’intera storia. E non è facile racchiudere così tanto in così poco spazio. Anzi, può essere frustrante. Mi ci sono scervellato a lungo e un giorno mi è venuta l’idea. Ho pensato, e se lasciassi tutto com’è, ma aggiungessi soltanto E poi?
Il risultato mi ha subito convinto. Era perfetto per mettere in tavola fin dalla prima riga l’ansia dei protagonisti, il terrore che i loro sogni non si realizzino mai.
Dei tre protagonisti del libro, Aria è convinta di poter parlare con i morti, Danny è un aspirante attore e l’io narrante vorrebbe diventare uno sceneggiatore. Cos’è il talento per Iacopo Barison? E qual è il confine tra legittima aspirazione ed eccessiva autostima?
Ritengo che il vero talento stia nel capire il prima possibile cosa sappiamo fare e cosa no, e da lì migliorarsi ogni giorno attraverso la fatica e i sacrifici. Questo è possibile solo con una buona dose di autocritica. Voglio dire, se mi piacesse tutto quello che scrivo probabilmente non avrei mai pubblicato un romanzo. Bisogna essere consci che il mondo è pieno di persone che sanno fare le nostre stesse cose in modo infinitamente migliore di noi. Ma anche avere il coraggio di investire il proprio tempo e le proprie risorse in ciò che ci riesce bene. Essere ambiziosi è legittimo, persino obbligatorio in certi casi, ma l’eccessiva autostima non porta da nessuna parte. Le assicuro che io sono il peggiore critico di me stesso, molto più di qualsiasi editor o lettore.
Mi sembra che i personaggi del libro, dai protagonisti fino a quelli minori, vivano una mancanza di ancoraggio, come se un po’ fluttuassero alla ricerca di qualche concretizzazione o certezza. Se è così, si tratta più di una situazione momentanea o di una condizione esistenziale? In caso contrario, lei come descriverebbe i suoi personaggi?
Penso che la descrizione sia giusta, e che la mancanza di ancoraggio non appartenga solo ai personaggi del libro, bensì a molti fra coloro che si trovano ad avere fra i venti e i trent’anni oggi, me compreso, in un’epoca così assurda e schizofrenica, dove la tecnologia ha sempre più spazio nelle nostre vite ma si trova a convivere con elementi quali la cabala, l’esoterismo, il fondamentalismo religioso, eccetera. Più il mondo intorno a noi si fa complesso, più la nostra idea di felicità si complica, diventando quasi irraggiungibile. Viviamo in anni dove essere felici è molto difficile.
Come i protagonisti del suo libro, lei appartiene alla generazione dei millennial. Com’è raccontare una generazione dal di dentro?
Raccontare qualcosa dall’interno può portare a descrizioni efficaci ma non oggettive. Sinceramente, spero che il ritratto dei millennial che emerge dal romanzo possa essere entrambe le cose, però so che è molto difficile. In ogni caso è autentico, racconta un mondo che conosco e ho intorno ogni giorno. Le stelle cadranno tutte insieme è un distillato di tutte le ansie, le paure e le ossessioni di chi si trova a dover diventare adulto senza gli strumenti per poterlo essere.
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Anche Le stelle cadranno tutte insieme, come il precedente romanzo che presto diventerà un film per la regia di Daniele Ciprì, è ricco di rimandi cinematografici. Cos’è il cinema per lei e in che modo influenza la sua scrittura?
Il cinema, per me, è l’espressione artistica più immediata e travolgente che ci sia oggi. Sono cresciuto guardando col cinema, di tutti tipi, d’autore e non, per cui è normale che i miei romanzi ne parlino. Inoltre da quando Daniele Ciprì, che non smetterò mai di ringraziare, ha deciso di trasformare Stalin+Bianca in un film, è un mondo che ho potuto iniziare a conoscere anche dal di dentro. Penso che in qualche modo sarà sempre legato a ciò che scrivo.
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Per la prima foto, copyright: Mubariz Mehdizadeh.
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