RACCONTAMI (7) – “Al limite boschivo” di Thomas Bernhard
Tre racconti di Thomas Bernhard
Al limite boschivo di Thomas Bernhard viene riproposto nel catalogo Guanda, con la traduzione di Enza Gini, a distanza di poco più di vent’anni dalla prima edizione italiana, e ancora lascia il lettore interdetto e turbato dinanzi alla sua scrittura, fittamente intessuta di silenzi e omissioni; Bernhard non denuncia mai esplicitamente la drammaticità dell’esistenza, ma lascia che un sentimento di nausea e disfatta pervada sottilmente chi si accosta ai suoi testi. Su tutti i personaggi di questi racconti gravano un’inquietudine e un’angoscia kafkiane: il carcerato di Kaulterer non riesce a immaginare la nuova libertà che gli si prospetta; i due conoscenti dell’Italiano cercano di attraversare indenni le ore di una veglia funebre; il giovane gendarme di Al limite boschivo (che dà il titolo alla raccolta) assiste alla tragedia di due ragazzi che come lui cercano di fare ordine nella propria vita.
È proprio il testo di apertura il più lungo e complesso, poiché ci presenta da subito un personaggio inconsueto, la cui intelligenza «non era grande e neppure più profonda di quella di coloro che gli stavano intorno; […] ma a differenza di coloro che spesso lo sopraffacevano, la sua intelligenza era più solida»; la logica pervade ogni attimo dell’esistenza di Kaulterer, da quando si è dimostrata l’unica possibilità di sentirsi liberi nella reclusione, e anzi è giunta a sembrargli una condizione della prigionia, tanto che «temeva che dopo il rilascio, mandato selvaggiamente allo sbaraglio, non sarebbe stato più nulla». Poco importa che ad attenderlo ci sia sua moglie, se una volta fuori da quelle mura avrà perso la capacità di azzerare ogni sua aspettativa e di scrivere quelle “storie tristi” («non gli era mai riuscita una storia divertente») che gli hanno tenuto compagnia.
L’italiano e Al limite boschivo sono invece racconti più canonici, ma proprio la loro apparente immediatezza rende devastante l’epifania del male: in uno si manifesta nella confessione di un episodio scabroso della Seconda Guerra Mondiale, in cui sono stati trucidati dei polacchi, nell’altro è l’evidenza che la coppia in fuga che il narratore osserva incuriosito non scappi da casa, ma dalla propria colpa.
«Necessari, indispensabili, inevitabili: questo è il marchio dei libri di Bernhard» stando a Ingeborg Bachmann; probabilmente lo scrittore austriaco (nazionalità negata finanche nel testamento) quei tre aggettivi li avrebbe attribuiti al Male, alla cui ossessione non ha mai saputo sottrarsi.
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