RACCONTAMI (23) – “Adorata nemica mia” di Marcela Serrano
Marcela Serrano racconta le donne
È la sofferenza della condizione femminile il minimo comun denominatore dei racconti di Marcela Serrano raccolti in Adorata nemica mia (tradotti da Michele Finassi Parolo e Tiziana Gibilisco per Feltrinelli); dunque, appare quasi una dichiarazione d’intenti la considerazione che si legge nel brano da cui è tratto il titolo del libro: «Io sono lei e non un’altra, eppur son te e son tutte voi». La scrittrice cilena vuole proseguire la disamina dell’universo femminile intrapresa in Dieci donne ed è lecito pensare che Adorata nemica mia nasca, più che da un’urgenza letteraria, dal desiderio di sfruttare il successo commerciale della precedente raccolta. Eppure la Serrano è innanzitutto una scrittrice di romanzi (ne ha scritti ben otto, che le sono valsi diversi premi e riconoscimenti) e questa sua attitudine – insieme a un eccessivo sentimentalismo – penalizza diversi dei racconti qui selezionati, in cui si percepisce il tentativo di condensare in poche pagine un materiale narrativo di più ampio respiro.
Ciononostante ve ne sono alcuni pregevoli. Innanzitutto i due che erano stati pubblicati nel 2000 in Un mundo raro (dos relatos mexicanos): 2 luglio e Senza Dio né legge. Il primo, posto in apertura e apparso originariamente sulle pagine di «El País», non solo è il più lungo della raccolta, ma è anche il solo ad avere come protagonista principale un uomo, neanche a dirlo, piuttosto stolido; costui, entrando in politica, crede di dare una svolta alla propria vita e poter così abbandonare la moglie, certo di poter saggiare le grazie di più giovani e avvenenti fanciulle attratte dal carisma del suo ruolo. Ebbene, sarà proprio la sua incapacità di sedare certi istinti a farne deragliare i propositi. Anche lo stile diverge un po’ da quello dei testi successivi: non solo la componente ironico-grottesca è più marcata, ma si percepisce anche un certo sperimentalismo sintattico.
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Senza Dio né legge ci presenta, invece, una madre turbata dalle “pretese” del femminismo: «Laura Gutiérrez non sopporta la parola aborto, le suona sorella di altre parole che non tollera, come femminismo; le fermentano nello stomaco dandole acidità. Tentativi del tempo per abituare la donna alla morte; a tante morti diverse, quella della vita, di un sistema, di una particolare tradizione». Dovrà, però, riconoscere che «nella disgrazia non c’è Dio né legge, e possiamo contare soltanto sui noi stessi e sulle nostre forze»; ma, pur vedendosi costretta a sovvertire i propri principi, continuerà a credere fermamente in essi.
Intenso e suggestivo è anche La sua bussola (o il giorno della morte di Pinochet) che, in appena due pagine, condensa l’attesa di una vita: quella di María Bonita di riavere almeno il corpo esanime di suo marito, prima che il dittatore cileno si sottragga con la morte alle proprie colpe.
In tutto, i racconti sono venti e qualche riga meriterebbe anche La consolazione, che ha per protagoniste una madre con il figlio in terapia intensiva e una sua amica che riesce a sottrarle qualche ora di dolore, ma urge soffermarsi sullo splendido Adorata nemica mia, cui già si è già fatto cenno: un tributo al Don Chisciotte attraverso la narrazione in prima persona di Dulcinea che non solo ripercorre la storia dell’eroe di Cervantes, ma anche quella dei rapporti tra donne e uomini, con questi ultimi a domandarsi: «chi c’è nel mondo che possa vantarsi di aver penetrato e conosciuto il confuso pensiero e il mutevole stato d’animo di una donna?».
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