Quel terribile piacere di conversare. “Più donne che uomini” di Ivy Compton-Burnett
Più donne che uomini recita il titolo del romanzo di Ivy Compton-Burnett, pubblicato da Fazi nella traduzione di Stefano Tummolini: e il rapporto numerico tra i due sessi, nel libro, non può essere che quello anticipato dal titolo, dato che la storia si svolge per intero tra le mura di un collegio femminile inglese di una ricca città di provincia del primo Novecento (More Women than Men fu scritto nel 1933).
Se l’ambientazione è circoscritta, i personaggi e la trama rivelano alcune sorprese.
L’inizio del romanzo coincide con la riapertura del collegio dopo le vacanze estive. È la vigilia del primo giorno di scuola e Josephine Napier, l’efficientissima direttrice, è indaffarata: dopo avere accolto una per una le sue vecchie insegnanti, rientrate dalla pausa estiva, deve dare il benvenuto alla nuova docente di lingue classiche (una giovane laureata a Oxford), e accertarsi che gli alloggi e le sale comuni riservate al personale siano in ordine. Come le fidate insegnanti, la direttrice vive nel collegio, ma ha una giornata lavorativa ben più lunga della loro: la famiglia e il lavoro non le lasciano un attimo libero, e le incombenze legate alla sfera familiare si intrecciano con i doveri di direttrice scolastica. Nel collegio, con Josephine, abitano anche il marito Simon (mite insegnante di disegno) e Gabriel, il figlio adottivo della coppia. In realtà, Gabriel è il nipote di Josephine, cedutole alla nascita dal fratello Jonathan, un settantenne inetto che si lascia mantenere dal più giovane amante Felix, mantenuto a sua volta dal padre.
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Prima ancora che le lezioni, la vita familiare e scolastica di Josephine subisce una piccola rivoluzione: si fa viva una vecchia amica, ex fiamma del marito, in cerca di lavoro per sé e la figlia adolescente; il giorno dopo, il marito muore per un incidente domestico, e viene subito rimpiazzato, come insegnante di disegno, dall’arguto Felix (l’amante del fratello della direttrice), un personaggio da commedia di Wilde. La vita del collegio continua, tra morti improvvise, fidanzamenti celebrati e sciolti, passaggi repentini da relazioni omosessuali a matrimoni tradizionali, cambi di ruolo nella dirigenza della scuola e tra il personale insegnante. Difficile tenere dietro alla trama, come alla conversazione sempre brillante di cui il romanzo si compone. Il libro è anzi un’unica conversazione, intessuta di aforismi che ricordano appunto quelli più famosi di Oscar Wilde. Tutto accade mentre si conversa, e i fatti più crudeli o sorprendenti vengono solo detti, raccontati, mai spiegati o giustificati. Con leggerezza, si passa subito oltre. Come lettori, invece, si resta spesso interdetti: alcune insegnanti mostrano apertamente la reciproca attrazione fisica, alludendo a relazioni fugaci e libere, tra di loro, che non ci si aspetterebbe di leggere in un romanzo che per ambientazione riporta indietro alla tarda epoca vittoriana. Felix vive – in ordine inverso – la vita che a Oscar Wilde portò prigione e vergogna: dopo avere amato un uomo più vecchio, alla morte del padre torna a occupare con disinvoltura il posto che gli tocca in società, sposando la bella insegnante di lettere classiche e trasferendosi nella tenuta di famiglia in campagna.
Più donne che uomini: i personaggi maschili sono pochi e, a eccezione di Felix, poco incisivi. Il marito di Josephine – un semplice insegnante di disegno a fronte di una moglie manager – è diafano, a stento ci si accorge di lui, e muore senza far rumore, senza che si nominino colpevoli o si esprimano rimpianti. George, il figlio adottivo, è facilmente manovrato dalla madre, che resta sua unica tutrice, una volta liberatasi del padre biologico e di quello adottivo. Jonathan, il vero padre di Gabriel, è del resto un uomo che non fa che ribadire la propria debolezza di vecchio governato solo dai piaceri.
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I personaggi femminili, benché più forti, non sono tuttavia sempre gradevoli. Josephine è insopportabile nel suo continuo autoincensarsi e tiranneggiare, mentre le insegnanti, sempre intente a blandire la direttrice, parlano per allusioni e mezze frasi e sembrano macchinare chissà cosa. Sono però loro a reggere il collegio – e la casa – e degli uomini che capitano loro tra i piedi, per accidente, presto o tardi riescono a fare a meno.
Chi ha familiarità con i romanzi della Compton, narratrice londinese, non sarà sorpreso da questa rappresentazione spietata e divertita della grande famiglia che è una scuola.
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Il piacere della lettura di Più donne che uomini di Ivy Compton-Burnett nasce difatti dalla sua spietatezza e da una certa reticenza, pur nella conversazione ininterrotta. Attraverso gli scambi di battute tra personaggi, il romanzo presenta solo fatti, ordinari o interessanti: tocca al lettore aggiungere nessi, cause, sentimenti, tutto quanto viene taciuto.
Per la prima foto, copyright: Priscilla Du Preez su Unsplash.
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