Quel passato che (non) è una terra straniera per Teresa Ciabatti
È ufficiale già da qualche giorno: La più amata di Teresa Ciabatti (pubblicato da Mondadori) è nella long list per il Premio Strega (premiazione al Ninfeo di Roma il 6 luglio prossimo). Un romanzo capace «di saldare due temi apparentemente molto lontani e, ognuno a modo suo, tipici della narrativa italiana contemporanea: il tema dei misteri d’Italia e il tema della paternità» (Stefano Bartezzaghi). «Antico e possente, classico, disperato, nobile e duro» secondo Edoardo Nesi.
Al di là delle motivazioni dei due scrittori/sponsor (come è consuetudine del Premio) del libro, un dato inoppugnabile è che di quest’ultima opera della Ciabatti si sente parlare da quando è uscita nel febbraio scorso. E, quasi universalmente, se ne sente parlare bene. Strega o non Strega. Il che pone un problema a chi si approccia alla lettura, una sorta di pregiudizio che, in positivo o in negativo, mette in scacco chi vorrebbe poter esprimere un parere di pancia, come si suol dire, influenzato solo dal dialogo intrapreso tra i due attanti principali di questa splendida avventura che è la lettura, chi legge e chi scrive.
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Anche perché La più amata si offre volontario per un interrogatorio serrato e viscerale tra i due interlocutori in oggetto. Per la sua forma, in primo luogo. C’è chi lo definisce autofiction, chi biografia romanzata. Il punto è che questo libro è lei, è la donna che lo ha scritto. È la sua autrice. Il ricorrere quasi ossessivo, soprattutto nelle ultime pagine, dell’enunciato: «Mi chiamo Teresa Ciabatti» azzera la distanza tra scrittore e scrittura, quasi Teresa Ciabatti, in carne e non in spirito narrativo, fosse lì, dinanzi a noi, completamente nuda, a raccontare la sua vita, quella parte, per di più, ancora più intima di ogni esistenza che è la famiglia. Senza alcun dubbio, l’elemento spiazzante di quest’opera è che la maggior parte dei protagonisti non sono personaggi ma persone, con il loro intero bagaglio di debolezze e fallimenti, dritti e rovesci, o forse solo di umanità. Per cui ogni opinione finisce per apparire come un giudizio, solo che nessun lettore è un giudice e la vita, le scelte, persino gli errori non sono crimini.
Teresa narra di suo padre, di sua madre, di chi fossero prima e chi sono diventati dopo, di come si siano innamorati, sposati, abbiano avuto due figli gemelli, costruito un impero in cui lei, la figlia femmina, si sente la più amata.
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Sullo sfondo, arretrati ma non troppo, a tratti finanche integrati, ci sono, invece, due figure che la Ciabatti ha reso personaggi a dispetto del loro essere, di fatto, astrazioni: il tempo e lo spazio.
Nel primo caso, il tempo, coincide con una parte ancora misteriosa, o forse proprio misconosciuta della storia italiana degli ultimi quarant’anni (il Golpe Borghese del 1970, la P2 di Licio Gelli, sospette collusioni tra finanza, politica, criminalità organizzata). Nel secondo caso c’è Orbetello, un paese che sembra assurgere a capitale del regno privato di Lorenzo Ciabatti, il Professore, il primario, il re incontrastato.
E allora? Come si fa a sfuggire alle voci tentacolari che si rincorrono sul web, dove ogni cronologia, bacheca o quel che è riporta almeno un post, un tweet, una foto su Instasgram, della bella copertina, solare e sbarazzina, con la sagoma in piscina, accompagnata da una citazione, un riferimento, un elogio allo stile scarno ma puntiglioso, alla narrazione ironica e struggente di quella che in fondo è davvero ancora una voce di bambina dal principio alla fine del libro, nonostante gli scarti del tempo e dell’età.
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E allora viene il dubbio che forse, alla più amata, non si possa sfuggire e basta, che sia stato concepito per offrirsi, più o meno voyeuristicamente, alla curiosità dei lettori, una puntata di cronaca scritta invece che filmata, narrata piuttosto che parlata. Che, infine, l’opinione del lettore è destinata a restare un pugno di domande senza risposte: perché questo libro? Perché ora? La lunga ricerca che attraversa il romanzo ha permesso alla figlia, Teresa Ciabatti, di scoprire la vera identità di suo padre Lorenzo e di sua madre Francesca Fabiani? E la vera identità di Teresa Ciabatti, invece, qual è? Fino a capire, e questa è la mia personale opinione, che un figlio rincorre e ricerca la verità della sua famiglia nella chimerica ossessione di ritrovare anche se stesso. Ma la verità è che chi siamo non sempre combacia con chi sono (stati) i nostri genitori, e l’unica conclusione possibile è chiudere col passato anche se non tutti i conti sono stati pagati. Tanto il passato è un debito inestinguibile.
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