Quei fantasmi di cui non vogliamo liberarci. “Spifferi” di Letizia Muratori
Puntata n. 31 della rubrica La bellezza nascosta
«Sembrava stazionario. Ma poi è andato giù, a precipizio, passava da un ricovero all’altro. Il 15 dicembre del 1990 è morto: arresto cardiaco. Il medico della clinica ha detto così, ma non era bravo come tuo padre, che significa arresto cardiaco? Succede sempre, a tutti: si ferma il cuore e uno muore. Non è un referto accurato, è una banale constatazione. Pensavano solo a sedarlo e io li ho lasciati fare.” “Ma di chi era quella voce allora? Chi ci chiamava?” Di fronte a questa fine, così sciatta, di cui si sentiva complice, la Di Mitri ripensava continuamente a quel giovane medico di guardia che era stato capace di distinguere il vero dal falso, e le venne voglia di ringraziarlo, di parlarci, anche per dirgli che Stefano non c’era più.»
Il confine tra i morti e i vivi, ciò che separa prima e dopo, finestre che si aprono e porte che sembravano essere state chiuse: è, questa, la terra in cui gli esseri umani hanno sempre cercato di trovare delle risposte; il luogo in cui, per credere che la morte possa non essere la fine, l’uomo ha costantemente voluto vedere manifestazioni paranormali. In ogni esistenza ci sono accadimenti che talvolta ci possono apparire inspiegabili o difficilmente contestualizzabili, fenomeni che potrebbero sembrare non appartenenti al reale, o almeno, molto lontani dalla nostra concezione di logico e non logico; e molto spesso, proprio per voler credere a tutti i costi che la morte non sia il buio eterno, abbiamo dato a queste manifestazioni un potere particolare: quello di spaventarci, di turbarci, o addirittura di farci credere che qualche nostro caro defunto stia cercando un contatto terreno con noi.
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L’uomo è portato a credere in qualcosa che possa dare una giustificazione all’esistenza e se vogliamo un senso alla vita; perché troppe volte è proprio la perdita di un significato che porta alcuni individui a chiudersi in gabbie di disperazione e a rivolgersi a presunti conoscitori dell’ignoto. Ma i fantasmi, quelli veri, potrebbero esistere davvero, in fin dei conti. L’unico dubbio che potremmo essere in grado di mantenere vivo, una volta accertata la Loro esistenza, è cosa poi vogliano realmente da noi, e perché qualcosa che non appartiene più alla vita, debba decidere di manifestarsi ai vivi.
Letizia Muratori, nata a Roma nel 1972 giornalista e scrittrice italiana, ha pubblicato la sua raccolta di racconti Spifferi con La nave di Teseo.
Una voce che entra nelle case delle persone, una voce sconosciuta che con fare molesto infastidisce il quieto vivere delle sue vittime; un vecchio fanatico, eccentrico e un po’ folle e la sua lenta deriva; spettri che infestano ville; storie di omosessuali e di rapporti difficili con la quotidianità; stranieri che si aggirano per l’Italia, paesaggi meravigliosi e angoli bui ed inesplorati. Il filo conduttore di questa raccolta di racconti sono i fantasmi e il loro modo di apparire o di manifestarsi, nelle esistenze delle persone fatte di carne e ossa.
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«Ignoravo quelle dicerie, non era da molto che ero finita lì sotto. I proprietari precedenti erano successivi a quelli cui mia nonna aveva venduto l’appartamento. Vivevo ancora grazie a quell’eredità, e non ne era rimasto un granché. Per molti anni la vita non mi aveva costretta a vivere solo dell’eredità e confinata tra le mura di una cantina. Con cautela avevo continuato a interrogare l’immobiliarista: Ma questi qui sentivano rumori? Per caso c’erano state apparizioni? Quel ciccione in gessato non era venuto a cena da Leo Vasilev per parlare di fantasmi con me, e credo si fosse pentito d’aver tirato fuori quell’aneddoto. Al tempo stesso non poteva evitarmi perché era Antonio e io la sua Cleopatra. Ci eravamo pescati a vicenda nel cesto all’ingresso.»
Le pagine che ci troviamo a sfogliare sono piene di una scrittura molto curata, a volte ridotta all’osso, per dare al lettore la possibilità di essere totalmente dentro i racconti, senza correre il rischio di potergli dare distrazioni. La struttura dell’intera raccolta è davvero pregevole, ci troviamo ad avere a che fare con pagine costruite con sapienza dove nemmeno una singola virgola viene lasciata al caso. Se il tema conduttore sono i fantasmi, è altresì vero che in fondo ciò che lega indissolubilmente questi racconti è il mistero, mistero dei morti ma soprattutto mistero nelle vite dei viventi.
«Qui non ci sono ghost crab, li trovi sulle spiagge della Nord Carolina, da dove viene Frank. Non credo si mangino, sono minuscoli, non hanno abbastanza carne. Di notte vengono su dai buchi nella sabbia, alcuni sono fosforescenti. Sai, scavano buchi profondi, vivono a metà tra l’acqua e la terra, in una pozza umida. Frank non voleva essere offensivo, non solo, tu non lo conosci. Mi ha chiesto di sposarlo sulla spiaggia, ero china su un buco e ricordo che ho pensato: è perfetto, come sono abili questi granchi a scavare, sembra fatto da una macchina, poi gli ho risposto di sì. Ero io quella in ginocchio, capisci? In ginocchio al momento della proposta. È così che funziona tra noi, al contrario.»
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Alcune volte i fantasmi restano stretti accanto a noi e con il tempo siamo portati ad affezionarci al gelo che ogni tanto ci ricorda della loro presenza; e come per ogni abitudine, anche la più deleteria, smettiamo l’idea di liberarci di loro, registrandoli, oramai, come qualcosa che ci appartiene.
Francis Scott Fitzgerald ci diceva che è molto più semplice rinunciare a una gioia che a un dolore; e allora forse sono proprio i dolori e le sofferenze che, restandoci accanto per molto tempo, danno vita e forma agli spettri, e forse, questi spettri altro non sono che altri modi che abbiamo di ragionare sulla vita.
Per la prima foto, copyright: Eric Marty.
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