Quanto conta il gioco d’azzardo in Italia?
Il tema del gioco suscita da qualche anno grandi movimenti d'animo nel nostro Paese. Ed è così che il gioco, e il vizio del gioco che oggi più elegantemente chiamiamo ludopatia, pare essere uno dei temi di punta dell'ultimo periodo. Mentre il settore, in forte sviluppo, dà lavoro a tantissime persone e garantisce allo Stato cospicui introiti fiscali, emergono forti contrasti soprattutto tra amministrazioni locali e Governo per ciò che riguarda la regolamentazione del settore a livello territoriale (distribuzione, orari di apertura, pubblicità...).
Sul tema, recentemente, è stato pubblicato il volume La questione territoriale. Il proibizionismo inflitto al gioco legale dalla normativa locale, edito da Gioconews media, una raccolta di contributi che l'avvocato Geronimo Cardia ha in gran parte pubblicato, negli ultimi mesi, sulla rivista di informazione «GN-Gioconews». Incontriamo l'autore cercando di conoscere meglio questa pubblicazione.
Avvocato Cardia, proviamo a partire da qualche dato numerico. Premesso che è difficile avere numeri e statistiche su un argomento così sfuggente, c'è modo di capire quanto "pesa" questo fenomeno in Italia? Lei ha qualche dato da fornirci sui giocatori attivi ed eventualmente sulla percentuale di persone interessate ogni anno in Italia da questa patologia?
I dati sulla ludopatia sono allo studio attualmente. Sono disponibili, invece, i volumi di gioco del solo gioco legale (non anche di quelli sviluppati dal circuito parallelo/illegale) in quanto pubblicati annualmente dall’Autority di riferimento che è l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.
Nel 2015 sono stati giocati 88 miliardi di euro, di questi ne sono stati restituiti 71 ai giocatori in vincite, mentre i restanti 17 sono stati destinati in tasse (circa 9 miliardi) ed in remunerazione della filiera del gioco legale. La filiera del gioco legale è composta essenzialmente dai concessionari (278 sul mercato dei giochi a base sportiva e ippica, 208 per il Bingo, 104 per l’offerta online, 13 per gli apparecchi da gioco, nonché 1 per il superenalotto e 1 per Lotto e lotterie varie) e da migliaia di imprese appartenenti alla filiera che svolgono l’attività sul territorio.
C'è differenza tra gioco offline e gioco online?
Le due modalità di gioco sono profondamente diverse. Non è un caso che le regole di riferimento, siano esse normative che regolamentari e concessorie, siano differenti. Il punto è che in entrambi i casi il cliente giocatore si trova di fronte alla scelta di ricorrere all’offerta legale ovvero a quella parallela o illegale. Tra i dati pubblicati dall’Autority di riferimento vi sono anche quelli dei controlli effettuati per il solo on-line: si pensi che sono stati rimossi oltre 5000 siti non autorizzati dal 2006, poco più di 500 nel 2015.
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Come accennato il settore è stato, e per certi versi è ancora, in forte sviluppo, con decine di aziende presenti sul nostro territorio che significano, anche, migliaia di posti di lavoro, oltre che cospicui introiti per lo Stato italiano. Negli anni si è fatto molto per sottrarre quote all'illegalità, a suo parere resta ancora molto da fare?
Le aziende del comparto legale che tutti i giorni esercitano l’attività sul territorio nazionale sono migliaia, e i livelli occupazionali da queste sviluppati sono importanti. Il gettito erariale specifico (escludendo dunque quello riconducibile a IVA o IRES) si attesta su cifre importanti (circa 9 miliardi in un anno). E qui va fatta chiarezza da subito: è evidente che il gettito in questione è un tipico gettito da emersione, non dovuto a una nuova domanda di gioco.
Per questo le scelte di regolamentazione del gioco sono delle vere e proprie scelte di politica economica, da “maneggiarsi con cautela”, soprattutto se si pensa agli importanti obiettivi da perseguire in via principale: quello della salute (un gioco legale, in quanto regolamentato presenta presidi di rischio che devono tendere all’adeguatezza, a differenza del gioco illegale che per definizione essendo fuori controllo non fornisce alcun presidio) e quello dell’ordine pubblico (l’offerta del gioco legale può imporre un progressivo confinamento della offerta illegale).
Il disaccordo tra amministrazioni locali e Governo centrale non rischia di essere controproducente anche su questo fronte?
Il disaccordo tra amministrazioni locali e Governo centrale non rischia di essere controproducente, il disaccordo tra amministrazioni locali e Governo centrale è controproducente.
È controproducente prima di tutto perché in linea di principio un contrasto di regole è di per sé fonte di vuoti normativi, incertezze interpretative, e confusioni comportamentali in grado di favorire chiunque tranne le realtà aziendali legali. Chi lavora nella legalità ha bisogno, invece, di un tessuto normativo chiaro e attendibile su cui posare le proprie pianificazioni per la realizzazione dei necessari investimenti destinati a erigere le strutture idonee a implementare le regole per tutelare gli interessi che richiamavano sopra (salute, ordine pubblico e gettito erariale).
È controproducente perché in realtà le norme territoriali anziché regolamentare di fatto proibiscono.
È controproducente perché allo stato attuale il proibizionismo sta prevalendo sulla scelta di regolamentare compiuta a livello nazionale.
E, almeno fino a quando la giurisprudenza non si imporrà con un segno contrario (cosa che per la verità lentamente sta per prendere forma), il proibizionismo, comportando il confino dell’offerta legale, incentiva la ri-espansione del gioco illegale o parallelo, la re-distribuzione di prodotti di gioco fuori controllo, il ritorno all’immersione delle somme giocate e il conseguente calo di gettito.
Tempo fa una pubblicità televisiva comunicava che gli introiti provenienti dal gioco legale venivano in gran parte spesi a favore del patrimonio artistico del nostro Paese. Lei ha qualche informazione in merito, è effettivamente così oppure si tratta di una bella maschera sotto cui celare qualcosa che, soprattutto in un Paese di tradizione cattolica come l'Italia, si fatica ad accettare?
Sul versante della spesa, e del dilemma di come investire le risorse reperite con tutti gli studi e le valutazioni che la scienza delle finanze impone, vanno fatte tutte le riflessioni legate alle scelte di politica economica.
Queste vanno compiute con responsabilità e con altrettanta responsabilità occorrerebbe maneggiare la comunicazione di dette scelte.
Ognuno avrà interesse a sostenere l’opportunità di investire, di spendere in una determinata iniziativa. È vero, ci sono spese che hanno più effetto sull’opinione pubblica, in positivo o in negativo, e spese che normalmente sono in coda ad altre per priorità imposte.
Ma la verità è che si tratta sempre di risorse pubbliche e che un giudizio sugli atti di politica economica di spesa andrebbe espresso sul paniere delle spese identificato annualmente nella sua complessità e nella sua completezza e non sulle specifiche destinazioni.
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Tornando al suo libro, l'impressione, anche leggendo la raccolta dei suoi articoli, è che molte amministrazioni locali abbiano esasperato la lotta al gioco d'azzardo. Pare tuttavia di intuire che una certa "aggressività" di pari grado non venga applicata ad altre problematiche sociali, come la mancanza di abitazioni o la presenza sul territorio di fabbriche inquinanti, ad esempio, o alla riduzione del fumo al di fuori delle scuole o degli uffici pubblici. Qual è il motivo? Il settore del gioco è un bersaglio facile? È una giusta reazione a un atteggiamento finora troppo lassista?
Il gioco è un bersaglio facile, senza dubbio. E il grande alleato di chi lo attacca è la novità dell’offerta di gioco legale. È ancora troppo recente la scelta del legislatore di regolamentare un fatto esistente, rinunciando alla pigra posizione di chi si limita a vietare, per cui chi esprime un’opinione, chi per qualche ragione “giudica” (dall’elettore, all’opinionista, al giudice, al regolatore locale, al regolatore nazionale, etc.) ha ancora la coscienza ben radicata negli schemi socio-cultural-comportamentali della politica proibizionistica attuata nel nostro ordinamento giuridico sino ai primi anni del 2000. E se non si compie uno sforzo culturale importante prima di esprimersi si rischia di essere vittima dei pre-giudizi intesi nel senso stretto di giudizi legati al pregresso ordinamento giuridico che nel vietare, nel non regolamentare, tendeva a tenere nascosto il fenomeno.
Temi come quello delle abitazioni, dell’inquinamento, del fumo sono meno utilizzati probabilmente in quanto trovano il pubblico più maturo, più preparato e più consapevole nel valutare la bontà dell’iniziativa o della critica proposta.
Detto questo, operata la scelta di regolamentare, è evidente che ciò vada fatto bene e che ogni occasione è buona per ulteriormente migliorare i presidi della salute dell’ordine pubblico, del gettito. Ma è altrettanto evidente che le scelte, quelle giuste, è difficile che possano essere concepite sui palchi delle tribune elettorali, nelle trasmissioni televisive o con proclami.
Le scelte, delicate, difficili, complesse vanno individuate in contesti altamente qualificati, in tavoli tecnici altamente specializzati nei quali possano essere tenuti sotto controllo tutti i riflessi che possano determinarsi. Ci sono gli interessi pubblici della salute, dell’ordine pubblico, del gettito, e io aggiungo del risparmio e della formazione ma allo stesso tempo vanno valutate e tenute in considerazione le esigenze delle imprese che al servizio dello Stato implementano le scelte compiute dal legislatore. A queste vanno date regole chiare (non in contrasto tra loro), percorsi di investimento garanzie di contrasto al mercato illegale sempre pronto a sorpassare a destra.
Per fare un esempio, la normativa regionale e comunale sui cosiddetti distanziometri che vietano anziché regolamentare poteva benissimo essere evitata se solo si fossero portate a termine delle valutazioni preventive tecniche sulla fattibilità della misura. E invece eccoci qui a parlarne dopo ben cinque anni di lotte ai pregiudizi.
Io immagino uno schema comportamentale del ragionamento che porta alla giusta soluzione dei problemi che idealmente può essere paragonato a dei cerchi concentrici. Al centro vedo la salute e i risparmi del cittadino che domanda gioco (su questo vanno individuati meccanismi di crescita culturale e protezione che siano efficaci e idonei a differenza dei finti distanziometri, delle limitazioni assurde di orari o dei divieti assoluti di pubblicità). Il cerchio successivo è quello dell’ordine pubblico (con tutte le misure a protezione del gioco legale e di contrasto al gioco illegale). A seguire il gettito erariale (con le giuste valutazioni con gli strumenti della scienza delle finanze, da un lato, e le serie scelte sul piano dell’impiego per la politica economica prescelta). Senza dimenticare la tutela e il rispetto del comparto industriale del gioco legale, in quanto strumento di attuazione delle scelte: non si è incaricati di pubblico esercizio solo per assumere responsabilità ma anche per meritare il giusto ruolo e la giusta e chiara regolamentazione.
La nuova Legge di Stabilità riuscirà, a suo parere, a portare un equilibrio che consenta sopravvivenza alle imprese, riduzione dei rischi per i giocatori e un accordo tra lo Stato centrale e le amministrazioni locali?
Si dice che volere è potere. Ma in questo caso, bisogna ammettere, non basta neanche il volere.
Certamente si tratta del secondo tentativo che il legislatore nazionale compie per mettere d’accordo Territorio e Governo sulle regole di distribuzione del gioco legale. Il primo tentativo (quello operato col cosiddetto e noto decreto Balduzzi) non ha poi trovato una soluzione. Il secondo (imposto nei termini in realtà già decorsi alla Conferenza Unificata) è ancora in marcia. L’auspicio è che si faccia chiarezza. In alternativa, la giurisprudenza sta cominciando a orientarsi nel senso di non tollerare più le false regolamentazioni che in realtà proibiscono.
Personalmente ritengo siano giuste tutte le norme che contribuiscono a rendere più matura, più consapevole la scelta di chi gioca, a partire dal momento in cui sceglie se accedere al gioco illegale o al gioco regolamentato e legale che lo Stato sta cercando di offrire quale giusta risposta ad una domanda che comunque esiste.
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