Quando una biblioteca può salvare la vita. La testimonianza di Maya Angelou
Maya Angelou, poetessa, attrice e ballerina statunitense, autrice di Io so perché canta l'uccello in gabbia (edito da Beat nella traduzione di M. L. Cantarelli), insignita nel 2011 della Medaglia Presidenziale della Libertà, è una delle voci più apprezzate della poesia afro-americana degli ultimi anni.
Nell’autunno del 2010, quattro anni prima della sua morte, il Centro Schomburg per la Ricerca nella Cultura Nera, una divisione di ricerca della New York Public Library con sede a Harlem, acquistò i libri della poetessa, che quindi prese parte a un evento pubblico per celebrare l’acquisizione. È in quest’occasione che Angelou rivela come una biblioteca le abbia salvato la vita e come le biblioteche possano giocare questo ruolo nelle vite di tutte le persone anche nei periodi più bui. Per questo motivo decide di condividere la propria vicenda personale.
Quando sembrava che il sole non dovesse più splendere
Dio mise un arcobaleno tra le nuvole
Guardalo – guardalo. È una biblioteca – una biblioteca è un arcobaleno tra le nuvole.
Sappiamo che, dal XIX secolo, alcuni lirici e poeti afro-americani sono stati ispirati da una dichiarazione nel libro della Genesi. Nella Genesi ci viene raccontato che, proprio mentre pioveva ininterrottamente da molto tempo al punto che la gente pensava che non avrebbe più smesso, Dio pose un arcobaleno nel cielo nel tentativo di far sentire le persone a loro agio.
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Questo è nella Genesi. Ma nel XIX secolo, qualche lirico afro-americano, un poeta – forse una donna, non so – disse: «No. Dio non ha solo messo l’arcobaleno nel cielo». Noi sappiamo che gli arcobaleni, i soli, le lune, le stelle – tutto ciò che illumina – sono da sempre nel firmamento, ma le nuvole possono essere più o meno sfumate al punto che chi guarda potrebbe anche non vedere la luce. Così Dio ha messo l’arcobaleno tra le nuvole stesse – nel peggiore dei tempi, nel più meschino dei tempi, nel più triste dei tempi – così che chi osserva può vedere tutte le volte una possibilità di speranza.
Ecco cos’è una biblioteca.
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È meraviglioso, per me, essere stata portata in una biblioteca quando avevo otto anni. Avevo subito abusi ed ero tornata in un piccolo villaggio dell’Arkansas. E una signora di colore… sapeva che io non parlavo – mi rifiutavo di parlare – per sei anni sono stata una muta volontaria. Mi portò nella biblioteca della scuola per persone di colore. La biblioteca forse aveva 300 libri. I libri erano stati donati alla scuola per persone di colore dalla scuola dei bianchi e, spesso, non c’erano i dorsi sui libri. Così prendemmo delle tegole, le tagliammo delle stesse dimensioni del libro, ci procurammo del cotone e un po’ di stoffa, e coprimmo le tegole e poi le legammo al posto dei dorsi, così i libri divennero bellissimi. E quelli erano i libri che lei mi portò a vedere. Disse: «Voglio che tu legga ogni libro di questa biblioteca».
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Mi sembravano migliaia di libri. Nella mia casa in North Carolina ora ho una biblioteca di circa 4000 libri. Ma all’epoca pensai «Posso farcela? Vivrò abbastanza a lungo?». Non dico che compresi quei libri, ma leggevo ogni libro, e ogni volta che andavo in biblioteca mi sentivo al sicuro. Non può succederti niente di male in una biblioteca.
In un’intervista ad Angela Montefinise della New York Public Library in occasione dell’acquisizione dei suoi scritti, Maya Angelou aggiunge:
Tutte le informazioni appartengono a tutti. Dovrebbero essere disponibili. Dovrebbero essere accessibili al bambino, alla donna, all’uomo, all’anziano, al semianalfabeta, ai rettori delle università, a chiunque. Dovrebbero essere aperte.
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Le informazioni ti aiutano a vedere che non sei solo. Che c’è qualcuno nel Mississippi e qualcuno a Tokyo che ha pianto, che ha desiderato ardentemente e ha perso, che è stato felice. Così la biblioteca ti aiuta a vedere non solo che non sei solo, ma che non sei veramente diverso da chiunque altro. Potrebbero essere dei dettagli che sono diversi, ma un essere umano è un essere umano.
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