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“Quando si spengono le luci” di Erika Mann: la Germania del Terzo Reich

Erika Mann, Quando si spengono le luciÈ notte e un commerciante controlla la contabilità nel retro della sua drogheria. Il buio lo avvolge se non si considera il chiarore fumoso che emette una lampada a petrolio che trasforma la sua pelle olivastra in velluto secco. C’è silenzio intorno a lui, pesante e fitto, quasi fosse fatto di occhi che lo osservano, lo spiano; occhi che sanno cosa sta facendo con i registri delle entrate. Ma non siamo di fronte al solito commerciante furbacchione cui siamo tristemente abituati. La truffa qui si opera al contrario. Il commerciante sta gonfiando i suoi ricavi per pagare più tasse; tasse che non può permettersi perché non ha soldi e la lampada a petrolio l’ha accesa perché gli hanno tagliato la luce. Ma è questo l’unico espediente che ha ideato per impedire alle autorità di chiudere la sua bottega perché al di sotto del guadagno minimo stabilito per continuare a esistere.

Un pazzo, penserete, forse, perché bisognava essere pazzi per burlarsi anche di una sola delle norme del regime nazista nella Germania del 1939. Eppure di questi pazzi silenti Erika Mann, con la sua raccolta di racconti Quando si spengono le luci. Storie dal Terzo Reich (a cura di Agnese Grieco, Il Saggiatore, 2013), ce ne presenta un folto gruppo che non osa mai mettere in discussione il regime direttamente, sposando l’ovvia certezza (e con essa l’assurda pretesa) che fosse giusto formattare un popolo a immagine e somiglianza delle idee del suo leader. Un popolo di soldati, un popolo di credenti che sostituì la Bibbia con il Mein Kampf, un popolo che volle credere a tal punto negli ideali nazisti da trasformare il senso di colpa davanti alle scelte criminali in accettazione e l’accettazione in appiattimento di ogni guizzo d’individualismo su scala nazionale.

Questa raccolta di racconti fu subito oggetto di notevole interesse, soprattutto da parte del pubblico americano (è lo stesso padre di Erika, il grande Thomas Mann, a raccontarci, nelle pagine dei suoi diari, il successo della figlia come conferenziere presso le più importanti università statunitensi). L’America, nel 1939, era incuriosita dalle repentine trasformazioni in atto nel cuore dell’Europa e voleva conoscere il clima che si respirava in Germania e il pensiero dei tedeschi sul loro carismatico Führer. Erika, in esilio dal 1933 (la famiglia Mann era ebrea e, in più, palesemente critica nei confronti del regime nazista) e apolide dal 1935 (ottenne poi la cittadinanza britannica sposando a distanza il poeta W.H. Auden), aveva bisogno di comprendere e di far comprendere come fosse stato possibile che la Germania “popolo di poeti e pensatori” avesse aderito entusiasticamente a un regime così barbaro e se ciò lo si dovesse esclusivamente al programma di indottrinamento forzato cui era stato sottoposto tutto il popolo e, in particolare, la gioventù tedesca.

Per rispondere a queste domande, Erika Mann ci offre dieci racconti i cui protagonisti sono persone comuni, osservate dall’autrice nella loro asettica quotidianità, nel loro tentativo di gestire nel modo più indolore possibile l’annullamento dell’individuo che imponeva il regime. Nel loro egoismo, nel loro tentativo di giustificare l’ingiustificabile stordendosi con la propaganda, nella loro rassegnazione allo stato delle cose, nel loro cercare piccole pieghe di regime in cui nascondersi, come topini bianchi in una scatola nera che diventa sempre più piccola, si muove il reportage narrativo di Erika Mann. Scorre leggero e preciso sotto gli occhi del lettore, penetra nel suo stomaco come un colpo di pistola con il silenziatore, di cui non si sente subito l’impatto, ma di cui non si potranno ignorare gli effetti.

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Erika MannSopra a tutto la nuvola oscura del nazismo, grande protagonista di tutti i racconti, che fa sentire la sua voce dalle colonne del giornale di regime («Das Schwarze Korps», letteralmente «La milizia oscura», settimanale delle SS), e la sua potenza propagandistica nelle azioni e nelle parole dei personaggi della Mann. Così nel racconto che apre la raccolta (A causa di un deplorevole errore) incontriamo Peter che cita a memoria Himmler, opponendo le parole del regime ad alcuni impensabili dubbi avanzati dalla sua fidanzata Maria, che comunque non mette in discussione “verità” come l’appartenenza degli ebrei a una razza inferiore. Ma essere obbedienti al credo della gioventù hitleriana non li metterà in salvo e, per l’ignoranza di un medico nazista che commetterà il deplorevole errore da cui prende il titolo la storia, Peter e Maria si troveranno presto imbrigliati nel ruolo di colpevoli.

Ma è forse nel racconto da cui siamo partiti con questo post (Checks and Balances), in cui il commerciante trucca al contrario i libri contabili, che ritroviamo appieno l’inarrestabile azione della macchina propagandistica tedesca che ha mutato in pochi anni valori, coscienze e prospettive di un intero popolo. Solo, nel suo negozio, avvolto dal silenzio, quasi incapace di comprendere il motivo della sua frode, il commerciante sa di non poter confidare le sue angosce a nessuno. Non può farlo né con la moglie né con il figlio. Entrambi, ne è sicuro, lo tradirebbero denunciandolo alle autorità. E si chiede perché il governo debba accanirsi contro di lui: «Non sono ebreo, non sono comunista, né un traditore del mio paese». E se «giustizia è ciò che serve alla nostra causa» e lui fa parte di quella causa, allora perché tentare di salvarsi sarebbe un’ingiustizia?

Fissiamo la domanda che si pone il personaggio di Erika Mann e siamo grati a questo libro per avercela posta, grati anche per non aver mai vissuto il tempo in cui “si spegnevano le luci”, sebbene molte di quelle che abbiamo intorno sembrino affievolirsi di giorno in giorno.

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