Quando si distrugge il passato. Le proteste antirazziste contemporanee
In seguito all’uccisione, da parte di un poliziotto bianco statunitense, di George Floyd, in tutto il mondo è esplosa una serie di proteste antirazziste che, dalla loro innocenza primigenia e originaria, si sono trasformate, attraverso un’evoluzione – forse sarebbe meglio dire involuzione profonda – che le ha portate a essere violenti moti di ribellione nei confronti di qualsivoglia “segno” giudicato razzista. Con il termine “segno” individuiamo l’insieme dei monumenti e dei beni culturali che vengono considerati di primiera importanza in un preciso contesto sociale – dal latino “signum”, effigie appunto – e che sono tasselli socio-storico-culturali identificati come fondanti e fondativi delle odierne società, che sono nate e sviluppatesi solo a partire da questi ultimi. Andando quindi ad analizzare alcuni episodi che possono essere considerati esemplificativi, avremo la possibilità, rifacendoci ad alcuni pensatori e intellettuali del passato, di comprendere come l’insieme di queste proteste, nonostante muovano da un presupposto nobile, siano sfociate in un “anarchismo ante legem”, per dirla con Feyerabend, che non ha, in sé, nulla di positivo.
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Muovendoci verso ovest, oltrepassando qualche meridiano e fuso orario, abbiamo la possibilità di ammirare gli spazi immensi di una nazione che, per un lungo periodo, si è dimostrata razzista nei confronti dei blacks: segregazione, subalternità e odio sono stati subìti da parte della popolazione nera per decenni anche in seguito alla Seconda guerra mondiale, nonostante le modificazioni in seno al diritto internazionale. Ebbene, dopo aver subìto per molto tempo – e, ancora oggi, continuano a essere angariati –, rispondendo a un moto istintuale di protesta e ribellione – forse di vendetta – la popolazione nera statunitense cerca di affermare i propri diritti anche distruggendo monumenti raffiguranti personalità eminenti del passato che hanno lasciato una traccia indelebile per quanto concerne la storia degli USA: si veda, per esempio, la distruzione delle statue di Colombo, considerato – erroneamente – il primo razzista, colui che aprì la strada alla diseguaglianza sostanziale nella società americana; ma anche la violenza efferata nei confronti dei segni eretti a favore di George Washington perché – anche se considerato il Padre degli Stati Uniti, liberati, grazie alla sua leadership e al suo carisma, direbbe Weber, dal dominio britannico – aveva una pletora di schiavi neri. Al di là del fatto che “nullum crime nulla pena sine legem”, nonostante le scelte nefaste di Washington di avere centinaia di schiavi, questo empito d’odio nei confronti del passato risponde semplicemente a una volontà infantile di recisione, di epoché completa di ciò che fu, non comprendendo che è di fondamentale importanza guardare al passato per cercare di migliorare il presente; ma se il primo viene reciso con il coltello, il secondo faticherà a trovare un astro capace di essere guida per la fondazione di un futuro in cui il razzismo potrà essere identificato come un ricordo amaro di un passato diseguale.
Questo tipo di atteggiamento nei confronti dei simboli, di ciò che è stato e che noi consideriamo “passato” viene definito, da parte di Nietzsche nella seconda considerazione inattuale “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, storia critica. Secondo il filosofo di Röcken, esso ha, in sé, due aspetti: uno negativo (o patologico) e l’altro positivo (o fisiologico). Il primo risiede nel fatto che questo atteggiamento è proprio di chi guarda al passato come a un fardello del quale è necessario liberarsi in modo tale da riscrivere ex novo la propria esistenza, così come la società in cui si è cresciuti; coloro che interpretano la storia in questo modo chiamano il passato a deporre in tribunale e la sentenza che viene pronunciata nasce dal loro essere più intimo, dall’indignatio, tanto cara a Giovenale, che li ha portati a disprezzare i loro avi, le loro radici. La sentenza, però, non cambierebbe anche se fosse la Giustizia personificata a pronunciarla: il risultato sarebbe eguale, ma è qui che bisogna cogliere lo scarto. La Giustizia condanna quei comportamenti ma senza dimenticarli; il sentimento umano che li condanna porta l’individuo a condurre il tutto nell’oblio più profondo: ivi risiede l’errore melenso. Il progresso verso una società migliore nasce soltanto a partire da un passato che funge da modello negativo che dobbiamo abbandonare tendendolo sempre, comunque, ben presente.
Questi ultimi punti richiamano alla mente la concezione crociana della storia: “ogni storia è storia contemporanea” affermava il filosofo napoletano. Analizzando questa asserzione, è evidente come Croce sottolinei che ogni epoca storica influenza necessariamente la successiva ed è parimenti influenzata dalla precedente ma non solo: essa nasce anche da un’esigenza presente. Se la storia passata va al di là della semplice cronaca, essa diviene utile e attuale in modo che il passato sia linfa vitale per il presente e non si erga di fronte a quest’ultimo come una porta Scea invalicabile e insuperabile.
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Queste posizioni intellettuali mostrano come l’atteggiamento che è stato assunto da parte dei manifestanti possa essere esiziale circa il loro stesso obiettivo: l’uguaglianza sostanziale, de facto e non soltanto de iure. Ciò sarà possibile soltanto scegliendo un’aurea mediocritas, una posa che si inscriva tra l’eccesso distruttivo antirazzista e l’esplosione violenta razzista, entrambi atteggiamenti riprovevoli: il primo per quanto affermato in precedenza, mentre il secondo per quanto concerne il fatto che non esistano diverse razze ma ne esista soltanto una: la razza umana.
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