“Quando parlavamo con i morti” di Mariana Enriquez
Quando parlavamo con i morti è la prima opera della scrittrice argentina Mariana Enriquez a essere stata tradotta in Italia nel 2014, a cura di Simona Cossentino e Serena Magi, per conto di Caravan Edizioni. Si tratta di una raccolta di tre racconti, il primo dei quali dà il titolo all’intera silloge. Le storie sono tutte ambientate a Buenos Aires e hanno come protagoniste delle donne. Una dimensione di oltretomba si riallaccia continuamente alla storia recente dell’Argentina: vi è uno stretto legame tra la cronaca nera e i racconti del terrore. L’autrice, infatti, predilige i toni noir per parlare di desaparecidos, di violenza sulle donne e di sparizioni di bambini.
Nel primo, cinque ragazzine comprano una tavola ouija per chiedere agli spiriti dove fossero sepolti i genitori di Julita, portati via di notte chissà dove. «Il fatto è che tutti sapevano che i genitori di Julita non erano morti in un incidente: i genitori di Julita erano spariti. Scomparsi. Erano desaparecidos. Noi non sapevamo bene come si diceva. Julita diceva che li avevano portati via, perché così raccontavano i suoi nonni». Il racconto in prima persona plurale è molto coinvolgente, poiché asseconda la curiosità delle ragazzine, che con avidità interrogano i defunti. Le risposte sono poche e lacunose e, alla fine, qualcosa va per il verso sbagliato.
Nel secondo, dal titolo Le cose che abbiamo perso nel fuoco, si affronta il tema della violenza di genere.Tutto ha inizio quando la ragazza della metro, che aveva il viso e le braccia sfigurati da un’ustione estesa, gira di notte per i vagoni della metropolitana, chiedendo elemosina e raccontando di essere stata cosparsa di alcol e bruciata dal marito. La narrazione della violenza subita propaga la violenza stessa e si moltiplicano i casi di femminicidio. Le donne, in segno di ribellione, si danno fuoco da sole, sottoponendosi a dei veri e propri roghi.«Sono gli uomini a appiccare il fuoco, ragazza mia. Da sempre. Ora ci diamo fuoco da sole. Ma non per ucciderci: per mostrare le nostre cicatrici». Alcune di loro vengono medicate in ospedali clandestini, che hanno lo scopo di soccorrere le Donne Ardenti.
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Bambini che tornano è il titolo del terzo e ultimo racconto, che, al contrario dei due precedenti piuttosto brevi, occupa da solo la metà del libro. Mechi, la protagonista, gestisce e aggiorna l’archivio dei bambini dispersi e scomparsi nella città di Buenos Aires, incluso nello schedario più grande dell’ufficio afferente al Comitato dei diritti del Bambino, della Bambina e dell’Adolescente. Sono in migliaia a scomparire: adolescenti gravide o in fuga da un padre violento, rapite, assassinate oppure finite nel giro della prostituzione. Fra tutte, Mechi si affeziona alla bella Vanadis, una giovane prostituta di quattordici anni, finché un giorno non la incontra nel parco. Da quel momento,i bambini scomparsi iniziano a ritornare, identici al giorno della loro sparizione, anche a distanza di anni: il passare del tempo si azzera e il loro ritorno assume una dimensione spettrale.
Il libro è breve e si legge in una serata. La scrittura lineare ha il sapore dell’inchiesta giornalistica, cui si accompagna un senso generale di angoscia che getta il lettore in un’atmosfera cupa. Vi sono richiami puntuali al rapporto Nunca Más, stilato dalla Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (CONADEP) nel settembre 1984, per indagare su migliaia di casi di desaparecidos avvenuti durante la dittatura militare (1976-1983), riportando testimonianze su sequestri, torture ed eliminazioni di oppositori messi in atto dalle autorità militari. Viene altresì citato il film La notte delle matite spezzate, che ripercorre le manifestazioni studentesche del 1975, per ottenere il boleto estudiantil, una tessera che garantiva una riduzione del costo del biglietto dell'autobus e uno sconto sul prezzo dei libri di testo; la protesta sembrò avere successo inizialmente e la tessera venne concessa, ma il telegiornale cominciò a dare notizie di persone "scomparse". Con toni da letteratura gotica, la storia dell’Argentina viene così filtrata da Mariana Enriquez aggiungendo ulteriori ombre là dove vi erano già tinte fosche.
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