“Quando meno te lo aspetti”, incontro con Chiara Moscardelli
Per l'uscita di Quando meno te lo aspetti di Chiara Moscardelli, abbiamo incontrato l'autrice nella cornice inusuale di un bio-bar vegetariano milanese in Piazza San Marco. Il libro, una riuscitissima combinazione tra una spy story e Il diario di Bridget Jones, è uscito per Giunti Editore nel mese di maggio 2015.
Fra cruditès e humus di ceci, parliamo con l'autrice che esordisce con l'ironia che pervade anche il suo stile: «Siccome non ho una vita posso scrivere libri».
Uno dei punti forti del libro è sicuramente l'ironia. Quanto serve nella vita l'ironia? Cosa ne pensano gli uomini delle donne ironiche?
Dipende per cosa si usa. Con gli uomini assolutamente no! È difficile trovare un uomo che apprezzi uno scontro di cervelli, con una donna che ironizza su di lei e su di lui. Sul lavoro invece aiuta tantissimo a vivere meglio, a prendere tutto con più semplicità.
Nel finale viene mandato un messaggio molto forte: la donna può essere completa e bastarsi da sé. È così?
Penso che la donna senta molto di più la pressione della cultura in cui viviamo. Solo perché non sono sposata o non ho un figlio sono una metà? Trovo ingiusto che quando vado dal medico, siccome ho superato una certa età, facciano domande personali, ad esempio sulle gravidanze, mentre ad un uomo no. Le mie amiche quando mi invitano ai matrimoni non sanno mai dove mettermi. «Create un tavolo per i single, come si fa il tavolo dei bambini» gli dico sempre (sorride).
Tutte le donne sono attratte da uomini cosiddetti “stronzi” come la protagonista, Penelope Stregatti?
No, lei è attratta da quell'uomo per la somiglianza con il Conte Ristori. Poi quando scopre che ha anche lo stesso cognome del sopracitato, impazzisce. Penso che una donna si innamori veramente quando si sente al sicuro.
C'è un senso di colpa atavico nelle donne che le porta ad alcune scelte?
La realtà è che non siamo mai soddisfatti che sia lavoro, famiglia o il successo. Non si pensa al presente e non ci si valorizza mai abbastanza per ciò che siamo.
Recentemente ha frequentato un corso di scrittura qui a Milano. Le è servito?
Ho frequentato il corso dopo aver scritto due libri. A me sembra mi sia servito moltissimo soprattutto per i dialoghi. I lettori hanno notato un miglioramento in queste parti.
Perché una scrittrice dovrebbe iscriversi a un corso di scrittura?
Il mio sogno è scrivere per i film, quindi ho provato a iscrivermi a questo corso di scrittura per sceneggiature. Non facevo mai gli esercizi del corso per il poco tempo libero, ma l'ho seguito con passione e mi ha lasciato molto. Uno dei modelli a cui mi ispiro è John Michael Hayes, lo sceneggiatore di Caccia al ladro.
Il suo genere è molto particolare. È stato difficile esordire?
Diciamo che il mio genere è unico, per quanto riguarda il mercato italiano. Non ho uno scrittore simile a cui paragonarmi. È una commistione tra il noir e la commedia.
Come modelli internazionali, invece, a chi si ispira?
Prendo molto dai film americani degli anni '50 e '60, tipo Sciarada per intenderci. Questi film hanno dei dialoghi che potrebbero essere dei romanzi. Il mio stile potrebbe essere quasi cinematografico più che da romanzo, sebbene sia un’insaziabile lettrice di thriller stranieri. Anche Woody Allen è un nume tutelare della mia scrittura. Come scrive certi dialoghi lui, non li scrive nessuno
Visto che parliamo di film, chi vedrebbe ad interpretare i protagonisti?
Non ci ho mai pensato. Per Penelope, forse la Gerini, forse la Cortellesi. Non lo so! Per lui ovviamente chiamiamo Alessandro Preziosi, il Conte Ristori.
La gestazione del libro è stata lunga?
Partendo dal presupposto che io non ho molto tempo e non ho un piano preciso, abbastanza. Lavorando nel mondo dell'editoria ho incontrato e portato spesso in tour Joe Landsale e lui era solito dire questa frase, che ho preso come riferimento: «Non capisco questo problema degli scrittori italiani che aspettano l'ispirazione per scrivere. Io scrivo tutti i giorni per due ore. A volte vengono fuori le idee subito, altre volte meno. Ma la scrittura è un lavoro». Io ho adottato questo metodo e funziona. La storia all'inizio non è chiara in toto. Per Quando meno te lo aspetti avevo creato un thriller molto più cupo, poi ho inserito il mio stile e tolto molti pezzi sulla mafia russa che avevo scritto all'inizio.
Siccome non si butta via niente, il prossimo romanzo sarà sulla mafia russa?
Non credo (risponde ridendo).
Penelope è di origini pugliesi. Come è nata questa caratteristica? Ha conoscenza di quella realtà?
In questo romanzo, a differenza degli altri, volevo distanziarmi dalla protagonista. Un giorno ho incontrato un mio amico barese che mi ha detto che sarei dovuta nascere a Bari per poter ricevere la grazia di San Nicola, patrono delle zitelle. Mi si è accesa una lampadina e l'ho usato per delle consulenze soprattutto per il dialetto. Penso si sia pentito di avermi dato quell'idea.
Quindi in passato ha usato il suo nome per gli scorsi libri. Cambiare il nome è servito?
Mi sono vergognata meno degli episodi descritti. Soprattutto per quelli che riguardano la sessualità. Non che ci siano scene di sesso, ma bastava far accadere una scena intima per bloccarmi un po'. Ho scelto di estraniarmi dal personaggio o avrei dovuto scrivere certe scene sotto l'effetto di psicofarmaci (sorride).
Quanto è liberatorio scrivere per lei?
Con il primo libro mi sono proprio trasformata: ho buttato fuori tutto ciò che serbavo dentro, tutto quello che dovevo dire. Con questo ultimo libro mi sono potuta invece dedicare di più ad un finale cosiddetto “happy” proprio perché mi sono allontanata. Penelope alla fine porta a casa degli obiettivi, cosa che Chiara Moscardelli non avrebbe mai potuto fare. Certe cose accadono solo nelle fiction.
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Fra un'autobiografia romanzata e un romanzo che differenze ci sono?
Preferisco di gran lunga lasciare andare un personaggio alla fantasia che rimanere ancorata alla mia persona con dei limiti che posso impormi. La gioia che mi ha dato finire questo libro non l'avevo ancora provata. È stato come se anche io come la protagonista avessi portato a casa un successo. Ho pianto alla fine della stesura, ma erano lacrime di gioia. Ho esorcizzato un po' del mio pessimismo.
Cosa possiamo dire alle donne che si riconoscono nella figura di Penelope, nelle relazioni e nelle situazioni?
Non c'è speranza! Incontrerete solo migliori amici.
E il cinese che si innamora della protagonista? Lo ha incontrato veramente?
Pura finzione. Quando mai ho incontrato uomini che si sono innamorati?
Eppure la controparte maschile di Penelope cerca sempre di valorizzarla per quello che è...
Infatti è fiction. Quando mai un uomo guarda anche la bellezza interiore? Impossibile (risata collettiva).
Ma non è che le donne sono tropo selettive?
Noi siamo delle arpie, qui a Milano in particolar modo. D'altronde siamo statisticamente dieci donne ogni uomo. Tra donne poi non si crea quasi mai una complicità o una squadra, soprattutto sul lavoro. Gli uomini, fra loro, sono più leali, più coesi, più fedeli, più solidali. Le donne tendono alla complicazione delle cose. La mia più grande amicizia è con un uomo, questo perché non esiste nessun tipo di rivalità ma solo una profonda onestà.
L'incontro finisce fra una risata e un bicchiere di vino, ma la chiacchierata con Chiara Moscardelli è proseguita con un'intervista esclusiva per i lettori di Sul Romanzo.
L'evoluzione della protagonista racconta di una donna che impara a sentirsi completa e a cercare di raggiungere obiettivi che si distanziano dalla consuetudine della maggior parte delle persone. È un percorso che ha vissuto?
Penelope riesce là dove Chiara Moscardelli non arriva. Scrivo per dare alle mie protagoniste le opportunità che a me spesso vengono negate. Tutte noi dovremmo fare questo percorso. Imparare ad amare noi stesse, prima che un uomo, e a sentirci complete senza il bisogno che arrivi qualcun altro a completarci. Ma è difficile, lungo e faticoso. Meglio farlo fare a personaggi di carta!
La figura maschile non ne esce bene da questo libro. Seppur in maniera ironica, viene dipinto come un elemento disturbante ma che risulta essere il motore della storia di Penelope. Ci sono dei riscontri reali di questi personaggi maschili?
Trova? Io credevo di avere dipinto un uomo perfetto! E’ lui a credere in Penelope prima ancora che sia lei a farlo. È lui a valorizzarla e a spingerla a credere di più in se stessa. Anzi, diciamo che ho descritto un uomo perfetto che nella realtà non esiste. Anche Federico, l’amico di Penelope, è quello che le sta accanto sempre e la consiglia per il meglio. Poi certo lei non lo ascolta! Credo che nella realtà un uomo così non esista, purtroppo. Mentre l’amico Federico sì. È davvero il mio caro amico.
La nonna risulta una protagonista quasi invisibile, ma con un gran peso sulle scelte di Penelope. Ha incontrato una figura simile nella sua esperienza o è totalmente frutto di fantasia?
La nonna è una presenza costante per Penelope. È lei a crescerla, ad educarla a sviluppare le sue capacità mnemoniche e a portarla davanti alla statua di San Nicola, il protettore delle zitelle, perché possa trovare un uomo. Ma direi che me la sono completamente inventata. Mi piaceva l’idea che un personaggio come Penelope potesse avere un mentore come lei.
Il suo stile molto cinematografico ha un punto forte nei dialoghi che sono molto efficaci. Qual è il segreto?
Ah questo proprio non lo so. Sono sempre stati il mio punto forte. Anche in Volevo essere una gatta morta ci sono moltissimi dialoghi frizzanti. Credo dipenda dal carattere. Nella vita sono così. L'ironia mi ha salvata in più di un’occasione!
Consigli per uno scrittore che inizia per la prima volta ad approcciarsi alla scrittura?
Gli direi di leggere tanto e qualsiasi cosa. Non c’è genere letterario che non possa insegnare o da cui non si possa prendere spunto. E sembrerà strano ma anche guardare i film aiuta, soprattutto per i dialoghi. Le grandi sceneggiature del passato sono dei capolavori. Pensi a Woody Allen. Ha mai ascoltato dialoghi più divertenti?
Quando meno te lo aspetti di Chiara Moscardelli risulta essere un libro piacevole alla lettura pure per un pubblico maschile, anche solo per capire come interagire con questo misterioso, intrigante e a volte ironico mondo che è la donna.
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