Quando malinconia fa rima con speranza. “La nostalgia ferita” di Eugenio Borgna
Secondo Gabriel García Márquez per comprendere appieno in cosa consista e percepirne l'incantevole afflato dobbiamo pensare a quando siamo stati seduti accanto a qualcuno, avendo la consapevolezza che non l'avremo mai avuto. Per Milan Kundera la sua malìa fascinatoria – con la luce rossastra del tramonto – illumina ogni cosa, perfino la ghigliottina. Non per nulla infatti, i colori e i profumi del passato rivivono dentro di noi sempre più vividi e dolci di quelli del presente.
Si tratta del tempo che nessun calendario può plasticamente rivelare. Il suo scorrere non è cadenzato da alcuna lancetta d’orologio o clessidra, e librandosi (a volte in maniera quasi impercettibile, talaltra con sbalorditiva fuggevolezza) non lascia traccia visibile di sé. È il fluire degli istanti dimensionalmente interiori. Quel cronometro dell’anima, grazie al quale scorrono i minuscoli granelli spirituali che compongono l'imponente trama dell'infinito emozional-immanente che c’è-ma-non-si-vede di ciascuno di noi.
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E proprio questa meridiana trascendente, che scandisce l’emergere dal vissuto delle rimembranze nostalgiche del nostro passato, rappresenta l’architrave dell’ultimo saggio dello psichiatra (primario emerito dell’Ospedale Maggiore di Novara) Eugenio Borgna, La nostalgia ferita (Einaudi).
L’autore dapprima traccia un essenziale excursus etimologico circa il significato del termine nostalgia, erodendo via via, in un’appassionante discettazione per sottrazione, la stratificazione di contenuti semantici attribuiti nell'età moderna. Se infatti in origine è probabile che in latino fosse sovrapponibile alla parola desiderio, in seguito invece assunse una connotazione medico-scientifica, accezione peraltro sgretolatasi nel corso del tempo.
Quindi, dopo aver evidenziato le discrepanze concettuali e il baratro filologico che discriminano la nostalgia dal rimpianto, si sofferma sulle cause antropologiche e ontologiche ancor prima che linguistiche che spesso inducono all'uso indiscriminato dei due vocaboli adoperati alla stregua di sinonimi. In seguito tratteggia con sapienza narrativa, attingendo a piene mani dalla letteratura, la sensazionale molteplicità delle forme in cui si manifesta lo stato d’animo oggetto dell’analisi. E scandaglia così la valenza catartica dei ricordi (vere e proprie perle salvifiche) scolpita da Fëdor Dostoevskij ne I fratelli Karamazov; l’anelito d’infinito tipico della fanciullezza (rivelatore di un'Arcadia perduta) pennellato nel diario di Giacomo Leopardi Zibaldone di pensieri; e l’assoluta necessità di mettere in relazione il passato con il presente e il futuro (in un trait d'union fisico, eppure oltremodo speculativo) così come trasuda dalle pagine de Alla ricerca del tempo perduto di Marcel Proust.
Per poi giungere financo a prefigurare la (sconcertante) possibilità di essere divorati dalla nostalgia perfino di un'esistenza soltanto immaginata o agognata e di una vita mai vissuta, testimoniata dall’insondabile e frammentata prosa de I quaderni di Malte Laurids Brigge dello scrittore austriaco di origine boema Rainer Maria Rilke. E ancora: Thomas Mann, Paul Celan, sant’Agostino e tanti altri; una caleidoscopica carrellata attraverso le parole di quanti (scrittori, poeti e filosofi) non hanno potuto non interrogarsi – come scrive Eugenio Borgna – «sugli indicibili splendori della vita e sulla sua straziante brevità». Rappresentata a guisa di una meravigliosa Via Crucis, dolorosa e fantasmagorica al contempo, costellata com'è di dolcissime atrocità e orride gioie.
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L’autore contraddice con forza il mood imperante, smentisce il ritrito e dilagante storytelling circa il senso della nostalgia (dipinta con accenti tanto sgraziati quanto nefasti, se non addirittura esiziali) e ne svela l’intima natura evocativa. Ne celebra dunque la positività, la capacità rigenerante e il potere di donare a ciascuno di noi, facendoci abbeverare alla fontana dei ricordi e connettendo circolarmente ciò che fu a ciò che sarà, un presente gravido di speranza.
Per la prima foto, copyright: Gemma Evans su Unsplash.
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