Quando letteratura e cinema incontrano macabro e grottesco: il fascino del male
Tra cinema e letteratura, i generi ricchi di elementi riconducibili al macabro e al grottesco sono da sempre particolarmente gettonati. Sembra infatti che nel corso dell’esistenza, l’uomo di ogni cultura sia stato in qualche modo affascinato dall’occulto, dal mistero, dal soprannaturale e dalla morte. Spesso, ci si sconvolge pensando alle impiccagioni e alle decapitazioni di piazza, a eretici e streghe bruciati nei roghi, agli spettacoli fra leoni e gladiatori dell’Impero Romano… in tempi recenti, crediamo che l’umanità sia meno incline a questo tipo di visioni sadiche. Ma è la lettura di due interessanti testi a sussurrarci che, forse, non è proprio così.
Il primo è un libro di David J. Skal: The Monster Show. Storia e cultura dell’horror (Dalai editore, 1998, traduzione di Manlio Benigni). Ciò che Skal suggerisce è chiaro: cinema e letteratura occupano una buona percentuale dell’interesse dell’uomo nei confronti dell’orrido. Fin dai suoi primissimi anni, il mezzo cinematografico ha sfruttato l’orrore. George Méliès, padre degli effetti speciali, creò pellicole in grado di sconvolgere il pubblico con scomparse improvvise, sdoppiamenti e apparizioni malefiche (The devil and the Statue, 1901). Con i miglioramenti della tecnica anche i mostri divennero più terrificanti, accompagnando a modo loro periodi e avvenimenti storici già poco gradevoli. Diverse opere horror e fantascientifiche sono oggi viste come storie che hanno affrontato a livello più o meno subliminale pesanti conflitti sociali come guerre, depressioni e razzismo. Attraverso determinate tematiche, questi generi hanno esteriorizzato gran parte dei “mali” affrontati dalla società. Cinema e letteratura divennero così mezzi di spavento e sconforto, testimoni e partecipi di tensioni e sensazioni sociali. Skal sottolinea come il 1929, anno della Grande Depressione, si sia rivelato il momento migliore per la diffusione di mostri. É in questo periodo che nacquero i “cattivi” più sfruttati al mondo: Dracula nell’omonimo film di Browning (1931), Frankestein (James Whale, 1931) ed Il Dottor Jekyll e mister Hyde (Rouben Mamoulian, 1931). É paradossale come pellicole di questo genere nascano in anni già così segnati dal buio ma la ragione è semplice: più si è emotivamente a terra più si ricrea l’atmosfera adatta a questo stato d’animo con il fine di sfogare al meglio determinate passioni o frustrazioni. Frankestein, in questo senso, è nato nel momento psicologico più adatto.
A tal proposito Stephen King, uno dei più importanti autori di narrativa horror, analizza gli stessi argomenti in un testo di saggistica denominato Danse Macabre (Edizioni Frassinelli, 2000, traduzione di Edoardo Nesi).
Secondo King, il potere implicito di letteratura e film dell’orrore è la capacità di riportare alla mente di uno spettatore adulto quei ricordi di panico e insicurezza che tutti hanno vissuto durante l’infanzia. Si coglie a questo punto uno dei motivi per i quali l’uomo è tanto incline alla ricerca dell’oscuro: la volontà di tornare per un momento bambino. L’uomo adulto vuole darsi la soddisfazione di abbassare i freni inibitori permettendosi di urlare alla visione di un fantasma, vuole richiamare alla mente l’adrenalina vissuta in quei pomeriggi in cui si sfidava con gli amici di fronte a una casa abbandonata. Ciò che piace è la possibilità stessa di sperimentare la paura, sentire il cuore battere a mille coscienti che fra le mura di casa o fra le poltrone del cinema non ci potrà accadere nulla, guardarsi attorno e constatare che accanto a noi altre persone sono alle prese con le nostre stesse angosce.
I mostri della letteratura e del grande schermo hanno inoltre qualcosa in comune: possono essere combattuti e infine sconfitti. Lettore e spettatore sanno bene cosa accadrà, sanno che proveranno sulla pelle brividi indescrivibili ma, allo stesso tempo, sono consapevoli della natura fittizia di questo mondo fatto di parole ed immagini in movimento. In conclusione, si potrebbe dire che la mediazione estetica renda sopportabile ed emozionante la visione del male, altrimenti insopportabile.
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I diversi esempi riportati da Skal e King confermano alcuni dei motivi che sembrano spingere l’uomo adulto ad affascinarsi di fronte al male e al macabro, che dire invece al riguardo di bambini ed adolescenti?
Questa è un’altra delle tematiche che rende interessante la lettura diDanse Macabre, nel quale i bambini vengono indicati come gli spettatori più adatti al genere horror: «facendosi beffe delle ottuse preoccupazioni igenico-moralistiche di genitori, insegnati e pedagoghi […] il bambino è il solo che possa mettere in soffitta l’incredulità della ragione e godersi con nonchalance il piacere della paura». È probabile quindi che i più piccoli siano attratti da tali argomenti proprio in quanto tabù riservato ai soli adulti, ciò che essi vogliono è il superamento di una prova che li renda coraggiosi e orgogliosi di se stessi. Se la sperimentazione della paura è necessaria ai “grandi” per tornare “piccini”, queste stesse emozioni servono ai più piccoli per avvicinarsi al mondo adulto.
In The Monster Show, Skal riporta un ulteriore e significativo esempio in grado di fondere la capacità immaginativa dell’uomo e il piacere derivato dall’osservazione di scene macabre e crude: un particolare spettacolo teatrale. A partire dagli ultimi anni del 1800 fino alla fine della seconda guerra mondiale, ebbe un successo considerevole un teatrino situato alla fine di una strada senza uscita di Parigi: il Theatre du Grand Guignol. Al suo interno gli spettacoli enfatizzavano il loro impatto emotivo attraverso effetti speciali allora sconvolgenti e aberranti, trucchi rudimentali incentrati sulla potenza visiva delle immagini e delle tematiche affrontate: infanticidi, insanità, occulto e paranormale. Dalla prima guerra mondiale e poi negli anni Venti, il Grand Guignol ebbe la sua età dell’oro, attirando come spettatori persino reali in visita a Parigi. La guerra funzionò, anche in questo caso, come fonte d’ispirazione rendendo tali spettacoli una perversa valvola di sfogo.
In conclusione si potrebbe affermare che l’interesse perverso dell’uomo nei confronti di certe macabre tematiche non è questione di crudeltà o sadismo, quello che lo attira è la volontà di osservare cosa si cela dietro al proibito, cosa si nasconde al buio della cantina e quali sono le cause degli scricchiolii in soffitta. Ha paura di ciò che non conosce e ne è attratto al tempo stesso, è ciò che secondo gli antropologi ci spinge a essere ostili e affascinati nei confronti dell’estraneo.
«Ecco la verità finale dei film horror» afferma King «non è la morte che questi amano […] ma la vita. Mostrandoci le miserie dei dannati, aiutano a scoprire le più piccole gioie della vita».
Per quale ragione dunque il male risulta così affascinante? Il segreto potrebbe dirsi svelato: sembra infatti che l'uomo tragga piacere dalla visione del grottesco per aiutarsi a convivere con la realtà e con “i mali” che essa stessa gli propone ogni giorno. L'uomo li utilizza costruendo storie macabre che parlino della sua morte,attraverso cinema e letteratura ricrea ed esterna i malesseri della società con il fine di distruggerli.
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