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Quando la vita incombe. “Il vizio di smettere” di Michele Orti Manara

Quando la vita incombe. “Il vizio di smettere” di Michele Orti ManaraIl vizio di smettere di Michele Orti Manara, edito da Racconti Edizioni, raccoglie una serie di racconti, solo all’apparenza sconnessi tra di loro ma tutti fortemente aderenti al dato reale, dal momento che riproducono spaccati di vita in cui almeno una volta ci siamo ritrovati.

L’opera si apre con il rantolo di un bambino in fasce, che spaventa, in una notte come le altre, due genitori. Il malessere del neonato assume nella prima vicenda una valenza più profonda, rappresenta cioè il soffocare di una famiglia comune alle prese con la routine giornaliera, l’instabilità, almeno apparente, di una moglie a cui segretamente il marito somministra dei calmanti. Così poi d’impatto l’autore ci trasporta nel regno dell’inespresso con il secondo racconto. Ognuno di noi ha dentro di sé delle immagini o delle azioni che persistono nella memoria allo scorrere del tempo e accade che, sotto la scure di un destino che talvolta sottrae la vividezza dei volti a noi cari, questi fotogrammi riemergano da profondità sconosciute con valenza quasi terapeutica. Non sfugge neanche alla lente dello scrittore il difficile rapporto che tutti abbiamo attraversato con noi stessi e con i contesti che ci circondano. Talvolta si è convinti di non piacere alle persone, di essere inadeguati a un determinato ambiente, come quello scolastico, specialmente se, come accade nel terzo racconto, non si hanno buoni rapporti con i professori né tanto meno con i compagni. Ma ecco che, nell’imprevedibilità della vita, un evento come la rottura di un braccio può determinare un mutamento nella quotidianità, fatta ora di piccoli privilegi, a tal punto da voler poggiare per sempre su quella colonna di gesso che non solo tiene fermo l’omero, ma sembra che aiuti a sostenere il peso delle azioni, anche di quelle che vorremmo evitare: attenzione però, la storia non lascia dubbi: è bene non far diventare portanti quei pilastri che dovrebbero sorreggerci solo in quei casi di assoluta necessità.

 

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Altro scontro con la cruda realtà si ha quando in un certo punto della nostra vita si devono fare i conti con i rumori dei tacchi sul pavimento e questo momento arriva per tutti, anche per quelle persone legate saldamente tra di loro. Arriva all’improvviso una voglia travolgente di cambiare vita, di voler vivere e provare sulla propria pelle esperienze nuove, è quello che accade a Sergio che, dopo la maturità e un’estate spesa alla carlona, vuole partire per il Brasile, per aprire una fazenda e rinuncia a quello che invece tutti avrebbero voluto facesse: l’università, trovare un lavoro solido, ma soprattutto continuare quell’amicizia con il narratore della quarta storia, che rappresenta l’altra faccia della medaglia, ovvero tutte quelle persone che vedono mutare ciò a cui da sempre sono abituati, arrivando a demonizzare perfino il tempo passato assieme all’amico, ma si sa, i rapporti autentici non finiscono, semmai si trasformano e mettono a dura prova le mete che davvero ci siamo preposti di raggiungere, che addirittura portano ad attaccarsi anche all’oggetto più insulso che ci faccia aggrappare al passato, fino a ritrovarsi a interrogarsi sul senso profondo delle azioni, della realtà, della propria dipendenza da quanto ci circonda, perché:

«Tutti i personaggi di questa storia, presenti e passati, sembrano muovercisi dentro, ognuno per motivi suoi, mentre io non ero capace di capirci qualcosa, di prendere una direzione. Anche quando mi illudevo di avere un obiettivo, mi ritrovavo sempre a dipendere dalle azioni di qualcun altro. E allora, mi dissi guardando prima il cielo e poi la punta delle mie scarpe, cosa corri dietro alle stelle a fare?»

Quando la vita incombe. “Il vizio di smettere” di Michele Orti Manara

Dopo aver analizzato la visione di chi sceglie o si trova in quei punti di flesso della vita, per cui passano i fili del destino e si snodano in coordinate spazio-temporali non meglio definite, il libro si focalizza ora su una coppia incapace di amarsi. Uno dei drammi dell’epoca contemporanea è denunciato con una leggerezza incredibile, tramite un sottile gioco di sottintesi, di non detti o di azioni contraddittorie, che sfociano in una serie di sentimenti mai realmente dichiarati; processo che non coinvolge solo due amanti ma anche un padre e un figlio, suggerendo la formula risolutiva per Bocca di Rebecca in una delle ultime storie: «Diglielo e basta». Rapporto, quello con i genitori che viene affrontato anche verso la fine del libro, dove le carriere e la notorietà si scontrano con la ricerca di affetto di una figlia che nonostante tutto tiene al padre, a quel genitore che pur avendo basato la propria carriera sul raccontare le vite altrui non ha mai scandagliato la propria e solo un evento quasi soprannaturale può spingerlo all’introspezione. Più ironiche invece sono quelle riguardanti i post-it, oppure La malvagità della coda, L’assicurazione, Tre disillusioni editoriali e per concludere Vera che, chiudendo il libro, lascia il lettore con il sapore amaro dell’umorismo sulla vecchiaia, riprendendo al meglio la definizione pirandelliana.

«Amai la verità che giace al fondo, quasi un sogno obliato, che il dolore riscopre amica” , “Solo quando i poeti, o meglio il maggior poeta di una generazione, avrà rinunciato alla degradante ambizione propria – purtroppo! – ai temperamenti lirici, e lavorerà con la scrupolosa onestà dei ricercatori del vero, si vedrà quello che non per forza d’inerzia, ma per necessità deve ancora essere significato in versi.»

Quando la vita incombe. “Il vizio di smettere” di Michele Orti Manara

Il primo è il verso di una delle poesie più famose di Saba, Amai, il secondo un piccolo estratto del suo saggio Quello che resta da fare ai poeti. Sono queste due citazioni che servono a chiarire metodi e obiettivi del libro che non sono altro che quelli di voler andare a raschiare su un fondo di realtà dimenticato e questo non vuol dire che certi spaccati realistici non emergano quotidianamente, sui giornali, in altri libri, ma qui hanno la prerogativa di essere trattati con onestà ironica, attraverso anche l’utilizzo dell’umorismo, quello più autentico, inteso come “sentimento del contrario”.

 

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Non sono storie drammatiche, eccessivamente caricate e neanche hanno la pretesa di fornire una fotografia tout-court: ogni lettore vi può leggere la trasposizione su inchiostro di quanto ha provato e continuerà a provare. Perché molto spesso l’abilità per sopravvivere al naufragio odierno, non consiste nel dover pesare con l’animo ogni miriade di stimoli provenienti dall’esterno, sta nell’abilità dello scegliere quali eventi vogliamo far sedimentare dentro di noi, nel non essere cerebrali con tutto, ma solo con ciò che lo merita, la capacità sta nel vizio di smettere e nel capire che anche nella semplicità è nascosta tanta verità: per scomodare Husserl «torniamo alle cose stesse».


Per la prima foto, copyright: Carlo Navarro.

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