Quando l’amore è brama inappagabile. Intervista a Ilaria Palomba
S’intitola Brama (Giulio Perrone Editore), il nuovo romanzo di Ilaria Palomba, già autrice di Disturbi di luminosità (Gaffi editore). Al centro del romanzo ci sono Bianca e Carlo e la loro relazione finite che per Bianca diventa brama di possesso, al punto che forse il vero centro nevralgico del romanzo è proprio questa pulsione dell’animo umano.
E proprio da qui siamo partiti per la nostra intervista a Ilaria Palomba.
Brama fa riferimento sia al cognome del protagonista maschile sia al sostantivo femminile. Mi soffermerei per ora su questo secondo aspetto. Che cos’è per lei la brama e in cosa si differenzia dal desiderio?
La brama è un desiderio che non può essere placato né sublimato, è un bisogno viscerale ma anche metafisico. Quando una persona che amiamo e che ci ha ricambiati non ci desidera più o non vuole più vederci, ecco che sopraggiunge questo bisogno che è mancanza, desiderio e ossessione e che io chiamo brama, si può bramare solo ciò che non si ha o ciò che si è perduto. Brama è anche un modo di esistere, una smania di affermare la propria identità, Bianca vive nel mondo della brama perché lei non sa chi è e si definisce per ciò che possiede. Vana illusione, tutto è di passaggio, non si possiede mai nulla in definitiva poiché tutto può esserci sottratto, la sorte è dannatamente ironica.
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Perché ha deciso di costruire un romanzo intorno alla brama? E in che misura l’idea di porla al centro della narrazione ha influito sulla struttura del libro?
Perché credo sia una delle pulsioni fondamentali dell’uomo, dopo la nietzscheiana morte di Dio non ci resta altro che il possible e dal momento in cui tutto è possible l’uomo vuole tutto e non lo vuole in termini di desiderio sublimato ma di brama. Si brama ciò che non si ha ma che si potrebbe avere. Non posso bramare qualcosa che so essere impossibile e irraggiungibile ma qualcosa che in qualche modo è possible ma non possiedo o non più. Bianca vive nell’ossessione di ciò che non ha o non ha più, lei vuole riavere Carlo ma vuole anche diventare Carlo, è una forma di desiderio carnale e metafisico, in ultimo, un desiderio ontologico perché lei vuole diventare altro da sé.
«Sono una debole, questo mi dice Carlo. Che sono debole e priva di volontà, che mi lascio schiacciare da chiunque, quando invece vorrebbe essere lui, solo lui, a muovere i fili.» Sono le parole con cui Bianca, a inizio libro, presenta se stessa e il suo rapporto con Carlo. Fino a che punto è possibile parlare di una relazione asimmetrica?
Non è esattamente una relazione asimmetrica, Carlo incarna il sapere e Bianca il piacere, ciascuno dà all’altro qualcosa ma c’è un patto segreto, quando il patto si rompe, ed è lei a infrangerlo, lui non vuole più vederla, e lei non accetta nessuna forma di negazione. Ancora di più si strugge perché sa di essere stata lei a provocare l’allontanamento di Carlo. Nel romanzo si va a ritroso nel passato di Bianca e il primo capitolo affronta un’altra relazione distruttiva, malsana, che ha portato Bianca a tentare il suicidio per ben due volte. Il problema è lei in relazione agli altri, il suo modo di rapportarsi agli altri è malato, se c’è una malattia tratteggiata nel romanzo è la malattia dell’alterità, della sparizione degli altri. Non ci sono relazioni asimmetriche, il mondo restituisce a Bianca ciò che lei dà agli altri. Non credo alla favola del malvagio narcisista e della povera vittima, è un gioco di specchi, un gioco pericoloso che rischia sempre di incrinarsi e sfociare in tragedia ma un gioco accettato da ambo i partecipanti. Potremmo chiederci perché alcune persone non riescano a interrompere relazioni malate, votate al controllo, al dominio, al potere, potremmo dire che questo non è amore, non è così che si ama, se ami qualcuno vuoi il suo bene non il suo asservimento. Non è esattamente così, esistono molti tipi di amore e l’amore può essere anche questo. Non si riesce a interrompere una relazione del genere perché si ripone nell’altro una parte di sé e affrontare il dolore della perdita di una parte di sé può provocare una lacerazione insostenibile, non sempre si è abbastanza forti da sopportare questa lacerazione e aspettare che il tempo rimargini la ferita.
In una canzone di qualche tempo fa, Max Gazzè e Paola Turci cantavano: «e incolpa / il debole fra i due / scegli dove / meglio affonda / la lama del / tuo coltello». Esiste un “debole” tra Bianca e Carlo? Ma soprattutto, esiste una colpa nell’essere debole all’interno di una relazione?
Vittima e carefice sono intercambiabili in ogni momento, se Bianca sembra debole (come le dice spesso Carlo) è perché lei è più attaccata alla relazione. Non tanto a lui ma alla paura di perderlo e quindi di perdere una parte di sé, questo la rende anche più violenta, più pericolosa di lui. Una piccola provocazione: quando si denuncia qualcuno per stalking noi tutti c’indigniamo perché vediamo nello stalker un mostro ma cosa dire della persona che subisce? Ovviamente dipende da caso a caso ma nella stragrande maggioranza dei casi c’è uno scambio emotivo, un gioco di seduzione e non esiste nessuna parte debole, solo una messa in scena di ruoli, certo, chi cede esce dalla scena e compie un gesto da cui non si torna indietro perché viene giudicato legalmente. La debolezza consiste nel non accettare un no, un rifiuto, un abbandono, come il tossico non accetta una crisi d’astinenza. Esiste una colpa nell’essere debole? Dipende da quanto si fa pagare all’altro la propria debolezza.
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Perché il libro è dedicato all’inverno? Cosa rappresenta per lei questa stagione? E in che modo si sposa con il romanzo?
Perché tutta la vicenda dei ricoveri di Bianca avviene in inverno, anzi, a essere più precisi, la vicenda del secondo ricovero e della conseguente crisi avviene in un periodo che va da dicembre a febbraio, in cui lei è in preda all’ossessione. In inverno fa freddo e in me personalmente il freddo genera un senso di solitudine, mestizia e abbandono. Il caldo mi fa pensare a una situazione protetta, al ventre materno, invece il freddo mi fa pensare a un albero senza foglie; Bianca per tutta la vicenda è questo albero spoglio, abbandonato.
Chiuderei con una domanda forse eccessivamente diretta: chi o cosa sono Bianca e Carlo?
Sono due archetipi, due matrici alchemiche, due figure mitologiche, Salomé e Giovanni Battista.
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Per la prima foto, copyright: Alexis Fauvet su Unsplash.
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