Quando Kipling lavorò per i servizi segreti inglesi
Rudyard Kipling è stato (ed è tuttora) uno dei più noti scrittori inglesi del XX secolo, vincitore del Premio Nobel per la Letteratura e autore del famosissimo Libro della giungla. Come racconta di recente il «Guardian», Kipling però non è stato solo tutto questo, ma anche molto di più. Difatti, durante la prima guerra mondiale lavorò per i servizi segreti britannici, anche se questo dato sembra essersi perduto nella notte dei tempi.
Una nuova ricerca ha invece evidenziato il ruolo straordinario nello scrittore nel sostenere la propaganda a favore dell’imperialismo britannico disegnata per ridurre la minaccia di un’insurrezione tra i soldati indiani impiegati nell’esercito inglese in Francia.
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Gajendra Singh, uno storico dell’Università di Exeter, ha analizzato gli archivi dell’intelligence britannica per il suo prossimo libro. E ha rivelato come alcuni tra i 14 mila indiani che vivevano negli Stati Uniti stessero diventando un problema per i servizi segreti. Intrisi di idealismo pre-bolscevico, molti complottavano per rovesciare l’impero. Un’unità dell’intelligence tedesca li considerava pedine utili e cercava di manipolarli con una propaganda anti-britannica.
«Circa la metà di questi indiani emigrati ritornarono in India nel 1914 per sobillare all’insurrezione, contrabbandare armi ed esplosivi e sviluppare reti anti-inglesi» dice Singh. «Sono responsabili per l’organizzazione di un’insurrezione che avrebbe dovuto avere luogo agli inizi del 1915. Questo causò molte preoccupazioni tra gli inglesi, soprattutto considerando che questi indiani erano soldati in pensione. Per cui sapevano molto bene quello che facevano. Si autoproclamarono movimento Ghadar – che in lingua Urdu significa “ammutinamento” o “ribellione” – e proponevano un ritorno al 1857».
L’anno cioè della sanguinaria ma fallimentare rivolta contro la Compagnia delle Indie, un evento che le autorità britanniche non avrebbero mai voluto si ripetesse.
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L’intelligente inglese era anche preoccupata per le centinaia di uomini che l’India aveva inviato a combattere in Francia. Gli agenti monitoravano le loro lettere per registrare qualsiasi sentimento anti-britannico che si sarebbe potuto trasformare in vera e propria insurrezione. Nello stesso tempo cresceva una sorta di collusione tra i rivoluzionari irlandesi e quelli indiani, anche questa sostenuta dall’intelligence tedesca, che diffondeva storie su quanto i soldati indiani fossero trattati male nell’esercito inglese.
«Kipling fu reclutato dall’intelligence inglese nella prima guerra mondiale per scrivere sulle riviste americane con l’obiettivo di mostrare gli inglesi in una luce positiva e indebolire i nazionalisti indiani» sostiene Singh.
«Nel 1917 un’unità dei servizi segreti inglesi gli chiese di simulare una vera e propria corrispondenza indiana. Gli furono date le lettere realmente inviate a casa dai soldati indiani e gli fu chiesto di scrivere una propria versione per diffondere la propaganda negli Stati Uniti».
All’epoca Kipling si stava già regolarmente recando in Irlanda con l’obiettivo reclutare truppe per sostenere lo sforzo bellico. Devastato dalla morte, a soli diciotto anni, del suo unico figlio nella battaglia di Loos nel 1915, Kipling agì in funzione di un patriottismo molto forte, sostiene Singh:
«In quel momento era un’importantissima figura letteraria. Suo figlio era appena morto e lui era impegnato in questi viaggi per sostenere il reclutamento in Irlanda. Lo faceva come modo per tenere viva la memoria del figlio, per fare quello che poteva per sostenere lo sforzo bellico».
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In un’epoca in cui dominava la narrativa di basso livello e i settimanali venivano letti avidamente, le lettere di Kipling riscossero grande successo nel mondo. Sembrava infatti che riuscissero a catturare l’essenza dei soldati indiani all’estero e restituivano l’immagine delle loro relazioni con la Gran Bretagna in termini paternalistici e positivissimi.
«Scrisse quelle lettere per mostrare quanto i soldati indiani fossero animati da uno spirito di lealtà e deferenza verso l’Inghilterra. Si prodigò molto per rendere l’ingenuità dei soldati indiani, il loro stupore per i risultati della Gran Bretagna. A un soldato, di stanza nello Hampshire, Kipling fa raccontare come “quando l’imperatore mi ordinò di recarmi al suo palazzo per ricevere una medaglia vidi tutte le meraviglie e i divertimenti di Londra”».
Gli fa poi descrivere «un palazzo ricco di tappeti, mobili dorati, marmo, seta, specchi, velluti» che aveva «acqua calda [che] correva in tubi d’argento».
«L’idea era di cercare di costruire l’immagine di un indiano buono che agiva contro quello cattivo» afferma Singh. «La Gran Bretagna voleva mostrare che la maggioranza dell’opinione pubblica indiana era dalla sua parte e che questi indiani (che premevano per l’insurrezione) non erano rappresentativi della maggioranza».
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Il ruolo di Kipling a favore dell’impero però non sorprende i suoi critici. George Orwell l’aveva già descritto come un «imperialista sciovinista». E non è un caso che, col venir meno del colonialismo britannico, Kipling abbia perso quel favore di cui godeva un tempo.
Ma Singh suggerisce anche che ormai i tempi sono maturi per rivedere l’attuale posizione su Kipling. «Non è così di moda ora. È un po’ ingiusto perché le sue opere sono molto più ambigue di quanto si creda oggi».
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