Quando il passato inquina il presente. “Per quieto vivere” di Massimiliano Smeriglio
Giugno del 1944: Roma viene liberata da un’occupazione durata mesi e dopo la miseria, la disperazione e l’oppressione, la città è in festa. In uno stabile della periferia sud della città si consuma una tragedia, forse una delle tante: una donna, la portiera di quel condominio, sceglie il suicidio per sfuggire alla vendetta di chi, con qualche ragione, vede in lei, che ha obbedito agli ordini, un’aguzzina, una spia del regime. Una sua soffiata, infatti, ha causato la morte di alcune persone e un gruppo di partigiani viene a prelevarla; qualcuno vorrebbe giustiziarla subito, senza processo. Ma la donna non ci sta e preferisce darsi la morte.
A decenni di distanza da quel fatto, il nipote, che porta in sé il rancore sordo di chi non vuole dimenticare quella pagina buia e tragica che fa parte della storia della sua famiglia, è alla ricerca ostinata dei colpevoli. A volte una tragedia familiare, che sarebbe sepolta nel tempo, può diventare un’ossessione.
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Massimiliano Smeriglio in Per quieto vivere, Fazi editore, esplora la quotidianità e i pensieri del giovane portiere di uno stabile romano e racconta il suo assillo, alla ricerca di coloro che hanno indotto sua nonna, molto tempo prima, a togliersi la vita. Il ragazzo, che ha ereditato il portierato dal padre, che, a sua volta, lo ha avuto dalla madre, la donna suicida, esplora la quotidianità dei condomini, entra in qualche modo nella loro vita e nelle dinamiche familiari con lo scopo, sempre quello, di scoprire il colpevole, cioè colui o colei che ha indotto la nonna a gettarsi dall’ultimo piano. Al fatto ha assistito suo padre, che, allora bambino, ha visto il corpo scomposto e inerme della madre, nel cortile dello stabile.
E proprio da suo padre, segnato a vita dal terribile ricordo, il giovane portiere ha ereditato la ricerca e, con quella, l’insaziabile sete di vendetta. La sua, ovviamente, è una posizione privilegiata, come dice lui stesso. Lo stabile, di cui è il portiere, è come un acquario, un’area controllata di cui si sente il padrone: ha modo si sapere sempre chi entra e chi esce; sa quali sono le occupazioni di tutti gli inquilini del palazzo e ha anche modo di entrare nei loro appartamenti, perché ha imparato a fare le iniezioni e ogni tanto qualcuno lo chiama perché ha bisogno di lui.
Così le vicende dei condomini diventano storie nella storia. Le diverse trame, legate da un unico filo conduttore che è costituito dallo sguardo del portiere, si svolgono contemporaneamente e ogni capitolo ha un suo protagonista: l’anziana donna, che passeggia nel quartiere con il carrello e la bombola dell’ossigeno, ricoverata nell’appartamento che è adibito a casa famiglia; l’inquilino costretto al letto, completamente immobilizzato, che chiederà al figlio di ucciderlo per liberarsi di un corpo che ormai è solo una prigione; lo spacciatore che vive nel palazzo insieme con la sua giovane e determinata figlia; la coppia gay; la tranquilla famiglia di senegalesi; il ferroviere.
«Il condominio è come un paesino», dove passa più o meno tranquilla la vita di tutti. Le diverse vicende scorrono e i protagonisti, uomini e donne, si incontrano sulle scale, negli ascensori, si sfiorano con gli sguardi, si salutano, si scambiano battute o, volutamente, si ignorano. Mentre il portiere li guarda, li spia alla ricerca di indizi. Alla fine il colpevole sarà individuato, ma, paradossalmente, il portiere finirà a sua volta vittima di una dura resa dei conti.
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Il romanzo ha una struttura che in qualche modo rimanda a una raccolta di racconti brevi. I capitoli sono scritti in prima persona e le diverse storie si intrecciano e danno vita a vicende, sentimenti, pensieri e dinamiche che, simbolicamente, appartengono ad un unico protagonista, costituito dal condominio stesso. Le diverse linee narrative sono condotte dal portiere, una figura mediocre e inconsistente, che, come un burattinaio poco dotato, le tiene insieme, ma non sa dominarle fino in fondo. Così, alla fine, inesorabilmente, diventerà la vittima delle sue stesse piccole manovre.
Per la prima foto, copyright: Andre Hunter.
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